Razzismo: una dimensione biologica e filosofica

A cura di Carlo Corazzini e Francesco Paolo Grippa

Alla luce dei recenti avvenimenti nel mondo, ci troviamo oggi ad affrontare un argomento che si ripete ciclicamente nella storia del pensiero, soprattutto nei periodi di forte migrazione e di instabilità politica. Ci riferiamo al razzismo, definito dall’Enciclopedia Treccani come una “concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze”. Ma come nasce l’idea di razzismo? Come fa una simile visione, contraria ai normali dettami della ragione, ad essere tutt’oggi avvalorata?

Secondo i biologi, rilievo centrale assumerebbe l’area geografica di provenienza delle persone, nel senso che un individuo proveniente da un determinato territorio tenderebbe a focalizzare la sua attenzione su determinati tratti fisionomici tipici (c.d. area fusiforme della faccia): così come per un italiano tutti i cinesi sono uguali, così per un cinese tutti gli italiani sono uguali.

Il concetto razzista è stato a volte rafforzato -come per Fichte- altre volte estratto in via paradossale, attraverso un’interpretazione forzata -come nel caso della filosofia di Nietzsche- da una serie di opere filosofiche ottocentesche.

Partendo da Fichte, emblematici sono i “Discorsi alla nazione tedesca”, opera in cui il filosofo di inizio ottocento, fra i primi idealisti della storia, esorta il suo popolo a rialzarsi dopo la sconfitta contro la Francia, facendo leva su concetti apertamente nazionalisti: oltre alla purezza della lingua e della storia, forte è il riferimento alla stirpe e alla razza tedesca. Fichte stesso sarebbe stato probabilmente contrario alla politica dichiaratamente razzista attuata a poco più di un secolo dalla sua morte. Eppure i suoi scritti hanno aperto ad un concetto forte di nazione e di superiorità razziale, che sarebbe poi degenerato alle porte del secolo successivo.

Ancora più marcata è l’interpretazione che diversi filosofi novecenteschi, spesso al fine di giustificare l’operato del regime fascista e soprattutto nazista, diedero al pensiero di Nietzsche, morto nel 1900. Partendo dalla teoria del superuomo e della supervolontà, i pensatori del secolo scorso hanno intravisto nell’uomo tedesco e nella razza ariana l’Über-Mensch, ossia l’”oltreuomo”, colui che si distacca dal concetto di morale cristiana, che abbandona vecchi schemi morali ed etici e crea nuovi valori. Di certo, questa strumentalizzazione del pensiero è dovuta alla mediazione della sorella del filosofo, simpatizzante del nazismo, ed ebbe un’eco enorme: fino alla restaurazione ed alla riunificazione della Germania, con il crollo del muro di Berlino, le opere di Nietzsche furono proibite nella Germania dell’Est.

Vediamo quindi che il pensiero analizzato ha radici sia storico-culturali che biologiche. Proprio per questo motivo bisogna oggi rifuggire da tali concezioni al fine di affermare un’ideale umanitario, che racchiuda i principi riconosciuti in numerosi documenti internazionali a presidio dell’uguaglianza tra gli uomini.

Concludiamo con una citazione di Albert Einstein, uno dei più grandi geni che la storia abbia mai conosciuto e prodotto: “Io appartengo all’unica razza che conosco, quella umana.”

 

 

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