Corea del Nord: bugia o prigionia?

A cura di Chiara La Monaca 

Siamo quotidianamente chiamati ad esprimere le nostre opinioni sulla situazione politica nazionale ed internazionale, su ciò che ci riguarda, su ciò che ha un riflesso sulle nostre vite. Può sembrare un automatismo imprescindibile, ma esistono paesi in cui tutto ciò non è concesso; in cui il regime impedisce l’espressione del proprio pensiero e, ancor prima, la possibilità di informarsi per poterne avere uno. Yodok, Campo 14, Kwanliso: sono i nomi di alcuni campi di prigionia nordcoreani, dove si consumano stupri, violenze, torture. Intere famiglie vengono arrestate per il principio del yeon jwa je (colpevolezza per associazione), sulla base del quale devono essere arrestati i parenti fino alla terza generazione di un individuo giudicato “colpevole”. Fare una chiamata internazionale, cantare una canzone pop sudcoreana, non aver spolverato a dovere una foto di Kim II Sung: sono tutti “crimini” puniti, rigorosamente senza processo, con un viaggio verso le regioni montuose, dove sorgono gran parte dei campi di lavoro. Shin Dong Hyuk è un ragazzo fuggitivo, l’unico essere umano- per quanto si sa- ad essere evaso da un campo di prigionia della Nord Corea. In quel campo Shin Dong Hyuk ci è addirittura nato, perché i suoi genitori si sono conosciuti in quell’inferno e là sono morti. All’età di quattro anni assiste alla prima esecuzione, da quel momento torture ed uccisioni sono per lui la normalità. Quando sente la madre parlare di un piano di fuga, Shin fa quello che nel campo è giusto fare: la denuncia. Racconta: “Persino dopo averla vista penzolare dalla forca e vedere mio fratello morire fucilato per causa mia, ero ancora convinto di aver agito bene”. Soltanto ora, libero dal condizionamento, riesce a concepire l’orrore che sta dietro a queste sue dichiarazioni. Il premio per aver tradito i suoi cari? Quattro giorni di tortura per estorcergli ulteriori informazioni. Eppure può dirsi fortunato, perché non è morto di fame, perché è riuscito a uscirne in qualche modo, camminando sul corpo senza vita di un suo amico rimasto folgorato sui fili dell’alta tensione. Nel campo 14 andare a caccia di topi per mangiarli, ossa comprese, perdere qualche dito per il freddo, lavorare dall’alba al tramonto è la pura normalità. E poi c’è la scuola del campo, dove gli “insegnanti” bastonano a morte chiunque trasgredisca la benché minima regola. La follia in cui la Storia ha gettato quell’angolo di mondo dimenticato da Dio è riconosciuta come tale solo se conosci un termine di paragone. Così un prigioniero politico di nome Parker comincia a parlargli del mondo fuori dal campo, del quale i suoi non avevano mai voluto dire nulla. E cos’è che lo spinge a tentare l’impossibile? Niente di filosofico, niente di romantico, nessuna carta dei diritti. C’è solo e soltanto una cosa che lo aspetta oltre il reticolato e per la quale vale la pena di rischiare la vita: la possibilità di mangiare. Il cibo gli penetra nella mente come un chiodo fisso finché un giorno loro ci provano: Parker muore, ma lui se la cava con delle cicatrici da film dell’orrore. Indossa una divisa militare e riesce a raggiungere il confine. Ora vive in Corea del Sud. Le organizzazioni internazionali chiedono la chiusura di questi luoghi dove la violazione dei diritti umani è totale, assurda, incomprensibile. A tal proposito è stata creata dall’ONU una commissione di inchiesta per investigare. Oltre alla raccolta di testimonianze, sono state diffuse delle foto satellitari che attestano la posizione e la continua crescita dei campi di prigionia. Ma il regime di Pyongyang rimane una fortezza imperscrutabile e nega tutte le accuse: “Una cosa del genere non sarebbe possibile alla luce della natura intrinseca del sistema socialista che serve le persone e le pone al centro di tutto”. La costante minaccia della proliferazione nucleare e la posizione strategica della Corea del Nord hanno prevalso sulle buone intenzioni: per questo sia gli Stati Uniti che i paesi europei hanno preferito non intraprendere azioni militari. Mentre in altre parti del mondo le violazioni dei diritti umani vengono immortalate da cellulari e poi messe in rete nel giro di poche ore, in Corea del Nord passano anni tra il momento in cui i diritti di una persona vengono calpestati e il momento in cui lo si viene a sapere.

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