Università e impresa: la storia di un successo italiano. Intervista a Gianluca De Novi

A cura di Francesca Coletta

Gianluca De Novi è Researcher and Instructor presso il Massachusetts General Hospital e l’ Harvard Medical School, nonché affermato startupper. E’ partito da Bernalda, piccola cittadina lucana, ed è arrivato a Boston con la forza della passione e dell’impegno. Ci racconta la storia di un successo tutto italiano.

Lei è uno stimato ricercatore ed imprenditore di successo nel campo della chirurgia robotica/simulazione chirurgica e social networking/telemedicina. Qual è stato il percorso che dalla piccola cittadina lucana di Bernalda l’ha condotta ad Harvard?

Mi sono laureato presso la Facolta’ di Ingegneria di Bologna, dove ho poi conseguito il dottorato di ricerca in robotica. Durante il mio dottorato ho avuto l’opportunita’ di trascorrere gli ultimi sei mesi di studio presso l’Università di Harvard, nel Biorobotics Lab. Dopo pochi mesi ho ricevuto diverse offerte di lavoro dai laboratori del MIT e di Harvard ed ho accettato, a seguito di un periodo di riflessioni e valutazioni, una delle proposte del Simulation Group ( il laboratorio appartenente al CIMIT/MGH e con academic appointment alla Harvard Medical School). Da lì il percorso che mi ha portato a diventare Faculty Meber è stato breve.

Quali sono stati gli ostacoli che ha incontrato in Italia? Ci spiega perché nel nostro Paese è quasi impossibile conciliare l’attività accademica con l’imprenditoria?

Ai miei tempi essere uno studente e un imprenditore non era visto di buon occhio, perché si partiva dall’idea che non ci si potesse concentrare su due attività che richiedono una così grande attenzione. Ho creato il mio primo progetto imprenditoriale prima della laurea ed il secondo durante il dottorato. Proprio in quel periodo ho incontrato parecchi ostacoli, ma non ricordo di aver mai trascurato i miei studi per via della mia impresa, anzi, questa funzionava come un catalizzatore di entusiasmi e mi aiutava a comprendere il risvolto economico e di mercato per le i miei studi. Non avevo alcun conflitto di interesse, ma imparavo a distinguere diversi campi di applicazione per le tecnologie che creavo e che avevo iniziato a creare sin da quando ero un semplice studente. Ricordo ancora, e mi fa sorridere, di quando partecipavo all’R2B organizzato da ASTER e partecipavo con due stand, uno del mio laboratorio universitario e l’altro della mia società. Oggi forse le cose iniziano a cambiare e si inizia a capire che è importante poter trarre ispirazione dalla ricerca e riversarla sul mondo imprenditoriale. Qui dove sono ora, le due cose sono assolutamente possibili, tutto va naturalmente regolamentato attraverso appositi accordi che vanno presi con i legali degli uffici dei rapporti con l’industria, previsti nell’universita’ e che gestiscono e risolvono possibili conflitti di interesse o di tempo.

Ci saranno stati dei momenti di difficoltà durante il suo percorso e molti degli studenti che ora staranno leggendo questa intervista si troveranno alle prese con le prime esperienze lavorative. Ci racconta come è riuscito a superare gli ostacoli in un Paese che non era il suo, da straniero?

Mi sembra ancora ieri… quando sono arrivato qui tutto era cosi’ nuovo, cosi diverso. Ricordo che il primo giorno in cui ho incontrato il professore che mi ospitava, la prima cosa che ha fatto quando mi ha ricevuto è stata spegnere il cellulare e mettere la cornetta del suo telefono fuoriposto, per non essere disturbati. Gli USA sono un paese multietnico da moltissimo tempo e come tale molti percorsi sono ben organizzati e collaudati. Non importa realmente da dove vieni, ma dove sei diretto. Se hai buone idee, voglia di fare e sai assumerti le responsabilità, le opportunità non mancheranno. Non sento di essere entrato in USA dalla porta di servizio, ma dalla porta principale e grazie al path accademico. E’ stato duro inserirsi in un tessuto imprenditoriale soprattutto in termini di mentalita’ e imparare a vedere il mondo dell’imprenditoria con occhi differenti, cambiando molte delle convinzioni che ci portiamo dietro dal nostro bel Paese, in cui si è persa l’attitudine al rischio… peccato… ma speriamo che in futuro la si possa riacquistare.

Sappiamo che lei si occupa di chirurgia robotica e simulazione chirurgica. Può spiegarci quali progetti sta seguendo ora?

La maggior parte dei miei progetti (circa il 90%) sono progetti finanziati dal Dipartimento di Difesa americano e in questo momento sto lavorando su due progetti in particolare. Un primo, che attualmente è in fase molto avanzata, consiste nella messa a punto di un algoritmo che consente di tracciare il movimento di strumenti chirurgici e ricostruire e capire cosa il chirurgo stia realmente facendo, allo scopo di offrire una guida e una valutazione della performance. Questa tecnologia, sviluppata nel contesto dei traumi cranio-facciali, ma applicabile in maniera più ampia in molte altre specialità, consente di offrire molta più sicurezza ai pazienti, assicurando che il chirurgo esegua in maniera corretta l’operazione, e allo stesso tempo consente anche di insegnare le pratiche chirurgiche agli studenti. Il secondo progetto a cui lavoro è legato alla creazione di un nuovo standard per la simulazione medica attraverso manichini estremamente evoluti. In questo progetto mi occupo della creazione dell’intera architettura di sistema e dell’intera parte software.

Come è fare impresa in America oggi?

Un pò piu’ difficile di ieri mi dicono, ma sempre molto più semplice che in Italia, dico io. Qui è facile accedere ad investitori e partner industriali e riesco a comunicare con tutti, da Google ad Amazon, senza difficolta’. Molto probabilmente tutto dipende dal luogo in cui mi trovo ora (ndr. Boston) ed immagino non sia lo stesso ovunque anche negli USA. Qui non è assolutamente strano andare a prendere un caffe’ e sentire i tuoi vicini di tavolo che parlano di nuove tecnologie che cambieranno il mondo.

Anche in Italia si sta avviando un percorso di rinnovamento, innovazione, sviluppo. Molti sono i progetti che mirano a generare talenti ed impresa. Non da ultimo proprio la nostra università ha lanciato l’acceleratore LUISS EnLabs, che sta ottenendo un notevole successo. Come vede questo rinato interesse per l’impresa anche in Italia?

Tutto questo fermento, trasmette la grande voglia di cambiare le cose. Il nostro è un grande paese ed è possibile apprezzarne le qualità soprattutto quando si va lontano e si capisce come una così piccola nazione abbia un impatto enorme in tutti gli altri paesi del mondo intero. Dobbiamo però imparare a tutelarlo, perché stiamo dando via quanto di meglio le generazioni precedenti abbiano creato. Iniziare dall’imprenditoria è importante, ma occorre trasmettere questa voglia di cambiamento a tutti i livelli della nostra cultura e della politica. Siamo troppo concentrati sul lamentarci.Ooccorre importare modelli di competitività interna positiva e sostituirli alla staticità che da qualche decennio ci caratterizza. Occorre capire che è difficile cambiare le vecchie generazioni, ma che è assolutamente importante dare opportunità alle nuove di cambiare il futuro, perchè è a loro che questo appartiene. In Italia, è tempo di ricominicare a vedere i giovani non come delle risorse da sfruttare, ma come delle risorse per creare innovazione… se le vecchie generazioni non hanno innovato in maniera prositiva fino ad ora, è improbabile che lo facciano in futuro. Nelle università, i professori dovrebbero fare a gara a chi promuove i migliori individui e non a chi ne boccia di più. La crescita avviene attraverso l’esperienza e non attraverso la repressione di persone che non la pensano esattamente come ci si aspetta. Vedremo come le cose si evolveranno nei prossimi anni. Di sicuro avere più progetti di impresa fra i banchi universitari, dove i giovani parlano e si confrontano, aiuta e migliora il nostro paese, oggi e domani.

Qual è il suo rapporto con gli studenti? Crede che impegno e creatività siano una ricetta vincente non solo per avere successo all’estero, ma anche per riuscire a tornare in Italia?

Non smetto mai di imparare dai miei studenti, con i quali ho un rapporto di scambio reciproco e quotidiano di nozioni e esperienza. Siamo tutti studenti. La creatività è un elemento fondamentale, va coltivata e supportata. L’impegno è importante ovunque, non solo all’estero. Incoraggio tutti gli studenti Italiani a trascorrere un periodo fuori dall’Italia, ma non solo l’Erasmus. Andate fuori quando siete arrivati alla fine del vostro percorso, in occasione della tesi di laurea in collaborazione con qualche altra università oppure con l’Erasmus, ma sempre alla fine del percorso. Scegliete mete note per l’innovazione, per la crescita. Se volete distinguervi andate dove sono i migliori del vostro settore. Andare in un altro paese per poi tornare è importante, non solo per quello che si impara dentro l’università, ma anche per quello che si impara fuori. Una volta usciti dall’università, tutto sarà più duro.

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