Diario di un digiunatore – Racconto

A cura di Valerio Ciccarelli –

Lo trovammo impiccato ad una corda alle prime luci dell’alba. Si era ucciso proprio davanti alla cattedrale, l’orgoglio della nostra piccola comunità. Tuttora ignoriamo se il suo folle gesto vada interpretato come l’esito necessitato dell’ultima ricaduta nel suo male, ipotesi in cui siamo inclini a credere, oppure come il risultato, l’ultimo passaggio ed il corollario estremo di un ragionamento lucido, un frutto in certo senso indipendente da ogni stato vizioso dell’animo. Quest’ultima lettura ci lascerebbe sgomenti, ne farebbe l’azione di un uomo e non quella di un malato. Per questo preferimmo che il suo diario andasse distrutto, lo facemmo per preservare noi stessi ed i nostri figli, l’umanità in generale dalle idee malate di un folle. Il terrore soprannaturale che l’azione potesse ripetersi lasciò però presto, ne siamo grati al cielo, il posto all’oblio. La disgrazia non venne mai emulata. Per questo riportiamo ora alcuni brani che, inspiegabilmente, andarono salvati. Confidiamo infatti nell’anatema che abbiamo invocato (la legge non serve a punirli) su ogni trasgressore.

[Giorno 1 dal rilascio]

Rilasciato in data odierna dalla clinica, ove fui internato per la follia dei miei digiuni, sono finalmente una persona guarita. Posso entrare con titolo valido nel giro delle creature umane, non più in quello degli esseri abietti in cui il mio solo istinto mi aveva condotto. Affinché la luce del mio ritrovato senno non ceda di nuovo alla tentazione delle (dolci) tenebre, ho deciso di tenere questo diario, in cui annoterò ogni mio pensiero, le esperienze che condurrò nel mondo degli uomini, lontano dal mio sottosuolo.

[Giorno 6 dal rilascio]

Il mondo degli uomini mi affascina, ogni azione sembra chiara, la medesima ragione getta su tutti la stessa luce, un linguaggio comune rende perfino possibili delle forme di comunicazione (con gli altri internati, un tempo, parlavo un linguaggio creato da noi stessi, suoni con i quali non sempre ci comprendevamo e che con gioia ho ora dimenticato). Oggi ho assistito ad una scena singolare: alcuni mendicanti si affollavano davanti alla porta della casa di un notabile del paese, questi uscendo, come tutte le mattine, gettò loro un tozzo del proprio pane. Il più vicino afferrò quel cibo e fece per portarselo alla bocca, immediatamente un altro strappò al primo l’oggetto della sua conquista. Mentre gli altri, più ragionevoli, o forse meno affamati, si allontanavano, questi due cominciarono tra loro uno scontro che si rivelò d’altronde breve, date le poche forze di cui disponevano. Quello che risvegliò il mio interesse fu lo sguardo del secondo, completamente opaco, fuori di sé (a tanto lo aveva spinto la fame). Mentre scrivo questa nota, nella notte, sono stato preso da una febbre violenta, sento di aver intuito qualcosa, una sorta di legge che già sospettavo. Naturalmente, e per la prima volta nella mia nuova vita, ho digiunato. Gli altri inquilini mi hanno detto che farneticavo, gridavo, io ricordo solo di aver visto, nel sonno malato delle febbri, un vecchio che mi tirava a sé mentre io guardavo la sua bocca orrenda, con brandelli di carni tra i denti scavati. Ora ho ritrovato la ragione e scrivo, come risulta, con logica, la coerenza che ho imparato da anni di internamento.

[Giorno 11 dal rilascio]

La rivelazione ha finalmente aperto il mio sguardo, ogni dolore, ogni sofferenza non era che uno strumento per arrivare alla sua più profonda conoscenza, il suo sentimento e la sua voce. Mi ero recato per mangiare ad una bettola che già avevo più volte frequentato. Quando mi sono seduto per mangiare un suono ha attirato la mia attenzione. Altri uomini stavano mangiando, ovviamente. Tuttavia non ne avevo mai sentito, non avevo mai ascoltato il loro rumore. Proseguiva, incessante. Trovai una parola per esprimere quel che pensavo: essi si stavano nutrendo. Questo capii. Dai miei occhi cadde un velo. Perché mangiavano? Per esistere naturalmente. Ogni morso che davano sottraeva qualcosa a tutti gli altri. Ogni boccone era un atto, almeno così mi apparve, di profondo, naturale, egoismo. Erano per esserci, come i tavoli, i piatti, gli animali e le piante che divoravano. Ma era peggio, io ero uno di loro, anche non mangiando, tutti rivelavano la comune natura, la radice vitale di ogni male. Quel suono non cessava, cosa potevo fare per impedirlo? Era l’ingranaggio della macchina prima, lo sfregare del suo olio, il rumore convulso del suo motore, i passi del minotauro nel suo labirinto… mentre pensavo così ero già fuori di quel posto, balbettavo parole inesistenti ed il rumore continuava, lo ascoltai ancora fino a notte inoltrata, e non mangiai.

[Giorno 25 dal rilascio]

Questa mattina finalmente la febbre cerebrale si è abbassata, ho preso consapevolezza freddamente del congegno del mondo. Ora so che ogni questione vada affrontata con calcolo e con logica, così mi hanno insegnato coloro che mi salvarono un tempo dal digiuno e nei cui confronti io debbo dunque essere grato. Il percorso che mi ha condotto a questo punto non mi ha visto sempre freddo e distante, ma era forse inevitabile. Ora la mia riflessione mi comunica la sola, forse, l’unica soluzione razionale ed antitesi a tutto questo, che d’altronde disprezzo. Chiarisco che il disprezzo proviene dalla mia natura, non è motivato, ma ne sento la radice così profonda da non poter pensare che non sia comune ad ogni essere senziente. Il digiuno volontario può essere una prima via, questo rappresenta l’opposizione cosciente alla legge che lega tutti gli esseri. Uno sciopero per piegare il sistema, per mostrare, almeno, che il sistema possa piegarsi. Così riflettevo, e il risultato mi sembrava coerente. Poi pensai ad una soluzione più drastica. Ogni essere dalla nascita viene condannato alla morte, vive piegandosi ad un volere oscuro, suggendo ogni stilla di esistenza, quasi un furto alla vita stessa. Perché perpetrare il giochino? Qualcuno vuole forse divertirsi delle strane avventure di attori comici alle loro spalle? Ma cosa accadrebbe all’umanità dopo un suicidio come questo, cosciente, filosofico, se si vuole, una restituzione, così lo immaginavo, una restituzione della vita al mittente? Probabilmente ne verrebbe trasfigurata, acquisterebbe una coscienza nuova, forse cambierebbe radicalmente, forse smetterebbe di esistere. Mi figurai la scena e per la prima volta immaginai il cessare di quel rumorio di esseri che si nutrono, che bel silenzio! Avrei aperto una nuova era, il mio sottosuolo era ricomparso, ma ora era mondo, era tutto, avrebbe avuto la meglio. Con me sarebbe cessata ogni cosa, come ogni immagine scompare al primo estinguersi dell’ultimo lume. [Le ultime righe sembrano scritte in un linguaggio sconosciuto, per questo sono state rimosse].

 

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