A cura di Piervincenzo Lapenna-
Cari Iuris-lettori, era veramente da tanto (,troppo,) tempo che non pubblicavo un articolo su questo giornale. La voglia di scrivere però è sempre lì, dietro l’angolo, ed ogni tanto ti assale, ti assale fino al punto in cui non puoi fare altro che assecondarla. Rinvii, rinvii, perché hai tanti impegni, perché molte volte non hai la forza di soffermarti difronte al tuo computer nemmeno per due minuti in più di quelli strettamente necessari o perché -molto più semplicemente- non hai poi tutta quella voglia che invece pensavi di avere. Arrivato ad un certo punto però -se anche tu come me hai questa passione- esplodi e senza sapere il perché ti ritrovi davanti ad uno schermo a mettere insieme parole sugli argomenti più disparati. Conclusa questa breve premessa filosofico/esistenziale, di cui non vado particolarmente fiero, ma che era più che mai necessaria a spiegarvi perché per la prima volta da queste pagine non vi parlerò di politica o di università, (ma, al contrario, vi parlerò di un argomento -come quello delle serie televisive- nel quale non sono particolarmente versato e sul quale, ahimè, non ho alcuna competenza di sorta) vengo al punto: nei due giorni appena trascorsi dal lancio tv dei primi due nuovi episodi di “Gomorra – La serie”, in giro per il web, ho letto molte opinioni e pareri contrastanti e, naturalmente, non volevo e potevo esimermi dal darvi anche il mio. La maggior parte dei commenti di cui vi dicevo sono stati, per così dire, non proprio positivi e hanno bollato i due episodi di cui sopra come “di transizione”, ovvero come puntate utili alla serie nella sola misura in cui potessero essere considerate come premessa indispensabile per aprire la strada alla storia che a partire dalla prossima settimana si svilupperà: per dirla in parole povere, seconda la critica, se la stagione dovesse continuare sulla stessa lunghezza d’onda dei primi due episodi sarebbe un vero e proprio fiasco. Personalmente, e sin da subito, non ho condiviso queste opinioni (o almeno le ho condivise solo in parte e limitatamente all’episodio numero due che, questo sì, ho trovato sicuramente interlocutorio ma al quale, allo stesso tempo, riconosco il merito di aver realizzato la necessaria introspezione di due personaggi sulla cui psicologia si svilupperà tutto il proseguo della serie). Non li ho condivisi, in particolar modo, per il primo dei due che invece, a mio parere, è stato il più bell’episodio finora realizzato dall’intera produzione di Gomorra.Chi mi conosce sa che non sono un grande estimatore di Roberto Saviano e che dal calduccio del mio divano spesso non mi sono tirato indietro dal criticarlo per le ragioni più svariate: ho sostenuto che i paladini della lotta alla mafia fossero altri, ho bollato come commerciale (e volta al solo scopo di lucro) l’operazione di concedere i diritti sul suo libro a Sky Tv e ho spesso enfatizzato i rischi che potevano sorgere dalla non corretta interpretazione di una serie come Gomorra. Oggi, invece, per la prima volta e dopo aver visto la prima puntata della seconda stagione, mi sono ricreduto. Quando si traspone sul piccolo schermo un’opera come quella di Saviano alcuni effetti collaterali potrebbero esserci, questo bisogna ammetterlo. Il primo (ed il più pericoloso) è sicuramente quello di rischiare di dare vita ad una sorta di mitologia della criminalità, cosa che -a parer mio- dopo la prima stagione della serie è effettivamente successa.Gomorra era diventata per alcuni (ed in particolare per quegli stessi delinquenti contro i quali invece l’opera doveva essere rivolta) una sorta di epopea della Camorra. Per rendere l’idea anni fa, in presenza di alcuni amici, elaborai una banale e senza dubbio esagerata proporzione che però ancora è valida ai fini esemplificativi. Dissi loro che Gomorra rischiava di diventare per le giovani generazioni che hanno avuto la sfortuna di nascere negli “Stati Uniti di Scampia e Secodigliano” quello che l’Iliade o l’Odissea era stata per i tantissimi giovani greci dell’età classica. Pur rendendomi, sia allora che oggi, conto di quanto questo paragone sia azzardato ve lo ripropongo perché -nella sua esagerazione- è indicativo di quanto sia pericoloso esporre un pubblico non preparato alla visione di una fiction come Gomorra e rende bene l’idea di quanti danni potrebbe generare il far crescere un ragazzino con il mito di Gennaro Savastano et similia. La prima puntata della seconda stagione, però, mi ha completamente fatto ricredere: per la prima volta ho apprezzato la bontà degli intenti dei sui produttori, perché per la prima volta dalla sua visione è emersa palese una verità, ovvero che non c’è alcuna felicità nella vita di un mafioso. Spesso commettiamo l’errore di considerare verosimili solo alcuni elementi che emergono da “Gomorra – La serie” e prendiamo per buono esclusivamente il contesto o i fattori marginali che quest’ultima racconta (ad esempio il degrado delle periferie urbane, gli scontri a fuoco o la compravendita elettorale). Al contrario guardando il primo episodio della nuova stagione ho capito chiaramente che il realismo di Gomorra può emergere in tutta la sua crudezza (e crudeltà) solo se consideriamo l’intero complesso di quello che la serie ci mostra come veritiero. Solo quando capiamo che mentre Ciro Di Marzio strangola a morte la moglie non sta facendo altro che aderire perfettamente alla logica criminale e che chiunque fosse stato al suo posto avrebbe dovuto fare lo stesso, solo quando ascoltando le parole di Pietro Savastano costretto alla latitanza (“voi sarete gli occhi, il cuore e la rabbia mia”) ci immedesimiamo in lui e soffriamo anche noi il dolore che il personaggio si porta dentro dall’omicidio di Imma, solo allora capiamo che tutto questo non ha senso, che sono quegli stessi protagonisti -con le loro scelte- gli artefici del proprio male, solo allora comprendiamo fino in fondo che per i camorristi non c’è e non potrà mai esserci pace o redenzione alcuna e che quella vita non vale nemmeno la pena di essere vissuta. Per questo motivo sono convinto che il primo episodio andato in onda martedì sera sia stato il più bello finora realizzato, perché in un qualche modo è proprio quello che chiude il cerchio lasciato colpevolmente aperto dalla prima stagione e che dà un senso non solo a quello che Gomorra è stata ma anche a quello che Gomorra realmente è e deve essere: non l’apologia ma la descrizione cruda e dolorosa di quello che da verosimile e romanzato è in verità reale e completamente disincantato.