A chi lasciamo il timone?

A cura di Giorgio Buttarelli

Gli uomini si sono svegliati un giorno sulle spiagge di un’isola remota, nauseati da troppe domande: chi siamo, cosa facciamo qui, dove andiamo adesso? I più saggi hanno ritenuto opportuno andare per mare, senza una destinazione precisa. I naufraghi hanno così formato equipaggi, hanno studiato come sfidare i flutti ed hanno costruito delle imbarcazioni resistenti; ma chi avrebbe governato le navi? Chi avrebbe guidato le comunità umane stringendo con sicurezza il timone senza crollare davanti a quell’infinita distesa d’acqua? Una parte di tutti noi sogna di essere il comandante. Siamo esseri finiti, mancanti e sentiamo l’esigenza biologica di affermarci, dimostrare che esistiamo davvero. Non c’entra la felicità: chi ottiene il potere vive nel timore di perderlo, deve continuamente dimostrarsi all’altezza delle aspettative e questo disagio lo corrompe più del potere stesso. Il richiamo istintivo al “gubernum”  è avvertito, non a caso, anche da altri animali che vivono in gruppo. Ora che la nave italiana solca acque agitate , volubili e le dinamiche del governo sono divenute più complesse, quali sono le qualità che gli italiani cercano nel loro timoniere? Ogni ispezione nella stiva ci consegna un’Italia sempre più lenta e piena di falle. Un crescente  malcontento serpeggia fra gli uomini, stanchi di illusioni gratuite. In ogni equipaggio si distingue un marinaio più carismatico e valoroso degli altri. Non tutti possono tracciare la rotta di un popolo senza conoscere il peso della responsabilità di una vita umana: ogni brusca virata si porta dietro la morte di un’aspirazione, ogni arrembaggio delle vittime, ogni deviazione un costo. Chi non ha mai lasciato la terraferma non può sfidare con arroganza le insidie del mare aperto. La nave esige mani esperte per resistere agli scuotimenti delle tempeste e della ciurma. Il mare è infestato da gorghi insidiosi e scogli aguzzi, ma fra tutti i pericoli v’è un canto, tanto suadente quanto terribile, che nasce proprio dal legno sotto i piedi del comandante: quello del potere. Il delirio di onnipotenza che spinge l’uomo ad affondare vite ed a beffarsi delle leggi del mare ha mietuto troppe vittime sulla nostra nave. I soprusi e le angherie non si risparmiano neanche fra i ranghi inferiori di un equipaggio che secoli di instabilità hanno educato alla prevaricazione del prossimo. Chi può combattere dunque l’ebbrezza del potere? Sogno un novello Ulisse, che ci chieda di essere legato all’albero maestro , per ascoltare quel canto senza lasciarsi consumare, che pur rimanendo risoluto e fermo non smarrisca mai la prospettiva del marinaio più povero e sfortunato e che conosca il valore del fallimento più di quello del successo. Credo che solo sotto la sua guida Itaca sembrerà un po’ più raggiungibile.

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