Fumo in fondo alla strada

A cura di Enrico Forlino

 

Una corta gonna il più delle volte arancione e una lunghissima gamba bianca, un look datato che dopo anni continua a mietere consensi tra un gran numero di astanti. Ci sono migliaia di storie d’amore che nascono così ogni giorno: la prima volta che la conosci senti le farfalle nello stomaco e ti gira la testa, quasi gli stessi sintomi dell’amore; poi come accade in una lunga relazione inevitabilmente riesce a tenerti all’amo, ti fa disperare e pensare di passare un giorno senza di lei diventa un incubo. C’è chi la conosce nei vicoli dietro il proprio liceo, lo consigliano gli amici, lei si insinua tra le tue dita ti prende per mano e al momento del primo bacio sei suo e subito ti manca l’aria; una volta fatta pensi di poter tornare indietro, correre a casa e lavarti con una doccia il sospetto e la colpa, sei già suo però, così fai un altro tiro. Ricordo perfettamente la mia prima sigaretta, in gita con dei compagni di classe dei quali a stento ricordo il nome, i cui lineamenti si sono persi tra la nebbia e l’oblio della mia testa. E’ stato orribile, me ne pentii subito, non le ho più toccate, era sbagliato, non avevo motivo, non ne avevo diritto, poi con l’ombra del cancro che già aleggiava sulla mia famiglia senza che nemmeno un pizzico di tabacco fosse mai stato toccato mi portava a farmi sentire un bastardo ipocrita. Mi promisi che non l’avrei più fatto; nacque in quel momento la mia crociata personale contro i pacchetti iridati e l’odore pesto che impregnava i bagni del liceo. Mi hanno chiamato in ogni modo negli anni a venire, una volta che esci dal giro sei facilmente etichettatile come “carramba” o “vecchio”, ma sopporti perché in fondo hai una ragione per fare così.Pensi quattro anni dopo a quanto sei stronzo per esserci cascato sotto, ne eri scappato al liceo e sono bastati sei mesi all’università; ti giustifica solo essere diventato un tossico, tanto ti sei specializzato che potresti facilmente affermare: “Dimmi cosa fumi e ti dirò chi sei?”. Dagli alternativi con il drum tra i quali si potrebbero distinguere mille categorie, passando per i fissati con il collezionismo dei camaleontici pacchetti Camel, i tradizionalisti fumatori di Marlboro, che ancora hanno difficoltà a intuire la presenza di quella dannata “r”, per poi terminare sui poeti maledetti come me fumatori di Gauloises e ancora ne mancano fin troppi.

Fatta menzione di tutto ciò, c’è solo una cosa che differenzia un fumatore dagli altri, il motivo per il quale ogni “dovresti smettere” finisce nel vuoto. Si fuma per apparenza, per compagnia e per noia. Per divertimento, delusione e compassione. O per mettere un punto.

Ecco la tassa sulla vita, la tassa della stupidità. Ma si continua a prendere un pacchetto dopo l’altro, giorno dopo giorno, perché la verità è una sola: non ha senso smettere finché quel bruciore in fondo alla gola non ti dà l’ebbrezza di una fine che non ti farà mai sentire solo.

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