“Nulla è perfetto, ma finalmente, dopo sessant’anni di dibattiti, si arriva ad un risultato concreto”

A cura di Valerio Forestieri e Dario Tasca-

Intervista al Dott. Danilo Capitanio, cultore della materia presso la cattedra di Diritto Costituzionale 1 del Prof. Pizzetti alla LUISS Guido Carli.

Qual è il Suo giudizio complessivo sulla riforma? Quali sono gli aspetti che considera positivi e quali gli elementi che meritano di essere bocciati?

Il mio giudizio complessivo sulla riforma è sostanzialmente positivo. Finalmente, dopo sessant’anni -non venti, non trenta, come molti dicono: già nei primi anni sessanta si cominciò a parla di revisione del bicameralismo perfetto- si arriva ad un risultato concreto. Partiamo però da un presupposto: non esiste intervento legislativo che possa dirsi perfetto. Nulla è perfetto: anche la Costituzione di Weimar, elaborata sulle migliori cattedre della Germania, non è stata così efficiente da impedire la presa del potere da parte di Hitler. Sicuramente questa riforma presenta degli aspetti positivi: la revisione del bicameralismo paritario, il Senato che diviene finalmente Camera delle Autonomie – dando così compimento al disegno regionalista e istituendo la sede in cui le Regioni potranno esprimere le proprie istanze e i propri interessi-, la revisione del Titolo V, anche se non tutte le criticità del vecchio Titolo V possono dirsi risolte. In particolare, un aspetto che considero fortemente negativo è la mancata revisione della specialità regionale, ovvero si poteva optare per un regionalismo differenziato, ripensando l’autonomia di tutte le Regioni. Tuttavia, nonostante talune imperfezioni, non posso che accogliere con ottimismo lo sforzo riformatore del Governo.

Nonostante la riforma abbia come nodo cruciale l’abolizione del bicameralismo perfetto, da più parti si nega che il bicameralismo paritario sarà effettivamente superato. L’articolo 70, in particolare, enumera un catalogo di atti legislativi per i quali è mantenuta la doppia approvazione, alla Camera e al Senato. Crede che la riforma semplificherà realmente il sistema legislativo, oppure lo renderà soltanto più farraginoso?

La Camera dei deputati rimane la sola assemblea politica, che traduce in norme l’indirizzo programmatico del Governo e concorre con questo all’esercizio della funzione di direzione politica. Alla Camera si svolge il processo politico e rappresentativo degli interessi generali, l’elaborazione dialettica dell’indirizzo politico e, dunque, solo essa ha il rapporto fiduciario con il Governo. E non potrebbe essere altrimenti, poiché il Senato cambia completamente i connotati: viene a configurarsi come l’assemblea dei raccordi tra lo Stato e le autonomie. Saranno, poi, Camera e Senato insieme, attraverso l’attuazione dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, a favorire la sintesi tra gli interessi del centro e quelli della periferia. Non è irrilevante, tuttavia, il potere del Senato di proporre modifiche a leggi già approvate dalla Camera nei confronti di qualsiasi legge. Il nuovo ruolo del Senato, pur non esprimendo la determinazione paritaria del contenuto definitivo della legge, mantiene comunque un peso politico niente affatto irrilevante nei rapporti con il Governo, per due ordini di ragioni: anzitutto riversa sulla diversa decisione della Camera l’onere di apparire salda e poi di fare rilievi opportuni sia nei confronti della Camera ma anche nei confronti del Governo. Inoltre, l’intervento più rilevante del Senato, ovvero quello superabile dalla Camera solo a maggioranza assoluta, riguarda leggi di certa e pesante incidenza sulle competenze regionali che, dunque, dovranno essere sempre ben preparate e meditate sia dal Governo sia dalla Camera medesima, non  potendo né il Governo prima né la Camera poi, senza assumerne la responsabilità politica, proporre e approvare atti legislativi che gli interventi del Senato giudichino arbitrari o centralizzatori e che potranno, anche se non accolte, sempre fornire elementi utili nel sindacato di costituzionalità su queste leggi.

Pensa che il combinato disposto di riforma costituzionale e legge elettorale possa rappresentare un vulnus per la democrazia? Dirò di più: la Consulta il 4 ottobre sarà chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità dell’Italicum. La Corte dovrebbe dichiararne l’illegittimità costituzionale?

Il combinato disposto di riforma costituzionale e legge elettorale non è un vulnus per la democrazia! Da più parti si è sentito dire che sommando alla riforma costituzionale la legge elettorale si cade nell’anticamera della dittatura: credo che siano timori più che infondati. Io vedo, semplicemente, una legge elettorale che, attribuendo al vincitore un premio di maggioranza, assicura la governabilità del Paese. I problemi che sollevano leggi elettorali che non assegnano un tale premio al partito (o quantomeno alla coalizione) che esce vincitore dalle urne, sono presto evidenti: basta guardare alla Spagna. Peraltro è vero che la Consulta sarà chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’Italicum, ma mi auguro che agisca con la dovuta cautela. In verità trovo che la Corte, sulle leggi elettorali di questo Paese e sulla riforma ancora in fieri, abbia già detto abbastanza, scrivendo anche delle pagine non eccellenti della sua giurisprudenza. Dovrebbe dunque dichiarare l’incostituzionalità dell’Italicum? Credo proprio di no, soprattutto perché il giudizio su una legge elettorale è sempre molto più politico che giuridico. Anche la famosa senza 1/2014 adduce ragioni più che giuridiche, molto politiche, essendo la legge elettorale l’atto legislativo con il più elevato contenuto politico/discrezionale che ci sia.

Loading

Facebook Comments Box