A cura di Marina Albisinni–
Nelle ultime ore dilagano le strazianti richieste di aiuto da parte dei superstiti di Aleppo: città fantasma, anticamera d’inferno.
È guerra. Le esplosioni si susseguono ad intervalli irregolari e gli abitanti sono disperati, allo stremo delle loro forze. I più fortunati hanno ancora una casa o una parvenza della stessa, priva però di luce, gas, riscaldamento e collegamenti telefonici. Altri vagano senza un posto dove ripararsi. Ogni bomba è un massacro di donne, uomini e bambini, costretti a pagare il prezzo più elevato.
“Siamo qui, siamo sotto assedio, la gente ha bisogno di aiuto, urge protezione internazionale”.
Questo, come molti altri appelli da loro stessi definiti “messaggi finali”, è la testimonianza della barbarie che la popolazione civile sta soffrendo. Assassinii brutali, esecuzioni sommarie, case rase al suolo dalle bombe o bruciate con persone dentro, ospedali che non riescono a prestare l’assistenza adeguata. Aleppo si mostra al mondo intero come città agonizzante, privata delle sue bellezze e dei suoi tesori, a tratti non più esistente sulla carta geografica. Ciò che resta è solo un ammasso di macerie e polvere. La realtà è spaventosa, perfino una bambina di 7 anni, attraverso un profilo Twitter della mamma, così si è espressa: “ Il mio ultimo momento per vivere o morire.”
Le vittime si sentono abbandonate, destinate a morte certa, dinanzi ad un mondo sordo ed assente. Non c’è più colore, è come se non ci fosse più il sole, tutto appare un ammasso di macerie grigie e nere, così come nella Guernica di Picasso.
L’atrocità dei bombardamenti del 1937 viene rappresentata con forti pennellate bianche e nere, a simboleggiare l’uomo che è vita e l’umanità che la guerra porta alla morte. Il messaggio, lanciato con un dipinto forte, coraggioso, risale alla guerra civile spagnola, ma tutt’oggi può considerarsi profetico. Ogni bomba sganciata su un essere umano, lo riduce a brandelli e ne manifesta la fragilità. Il corpo umano, non può competere con la tecnologia dei bombardamenti, debole, indifeso com è; Picasso lo rappresenta nel soldato colpito, il cui corpo è in pezzi sparsi qua e là. C’è chi appare intrappolato in un edificio in preda alle fiamme, così come accade quotidianamente ad Aleppo. L’urlo è quello della madre che stringe in braccio il suo bambino morto; urlo nero di disperazione, come direbbe Quasimodo. Analogia terribile tra l’oggi di Aleppo e la seconda guerra mondiale, quando il coraggio del dipinto di Picasso è stato voler dire al mondo la verità. Una verità che ci appartiene sempre, che esiste e che non si può ignorare voltando lo sguardo dall’altra parte. Il grido di dolore che proviene dalla Siria, non giunge da persone vive, ma da vittime che stanno sperimentando una nuova modalità di morte: “la morte da vivi”.
Negli ultimi giorni è la pioggia battente a far da sfondo a queste atrocità, come se il cielo piangesse lacrime amare per Aleppo e per le sue vittime innocenti. La ricerca della giustizia in terra è vana, ormai ci si affida solo alla speranza che in cielo esista un mondo migliore, non accecato da odio e violenza ma pervaso da giustizia, quella vera!