A cura di Leonardo Cappuccilli-
In Italia, oggi più che mai, si registra sul piano economico la compresenza di due realtà assai differenti: mentre il Nord sembra avere superato, seppure con molte difficoltà, la fase di recessione, il Mezzogiorno stenta a recuperare la capacità produttiva perduta negli anni della crisi. Ciò ha forti ripercussioni sull’occupazione e sul tenore di vita delle persone – come molti sapranno, di recente l’Istat ha evidenziato che nel Sud Italia un residente su due è a rischio povertà. Per chi si trova in situazioni di emarginazione sociale, in condizioni economiche disagiate e in un clima di rassegnazione, il pericolo di finire nella morsa dell’illegalità, rinunciando alla ricerca di un lavoro onesto, aumenta a dismisura. Senza avventurarmi in una digressione sul ruolo sociale che la criminalità organizzata occupa all’interno di alcune aree del Sud Italia, in questa sede tenterò di spiegare su quali basi si fonda il ragionamento esposto.
Recentemente ho avuto l’occasione di visitare un piccolo paese di provincia non distante da Campobasso, città in cui sono nato e da cui proviene la mia famiglia. Negli ultimi anni, paesi come questo stanno assistendo a una nuova fase di emigrazione, e spesso la loro popolazione si riduce a poche centinaia di abitanti. A restare qui sono quasi sempre gli anziani, con la conseguenza che molti di questi borghi sembrano, al momento, destinati a morire. La sorte peggiore la patiscono quei pochi giovani che, o per loro volontà, o come accade più di frequente, per l’impossibilità di spostarsi altrove, rimangono nei paesi anche al termine degli studi liceali. A questi ragazzi una realtà di provincia offre davvero poco, sia a livello economico e lavorativo, sia, soprattutto, in termini di qualità della vita. Infatti, come può trovare serenità un giovane che, non disponendo delle risorse economiche o delle capacità necessarie a completare la propria formazione, non riesce a trovare alcun tipo di occupazione? Come può egli sopravvivere psicologicamente alla noia, alla monotonia di una realtà sempre uguale, sempre immobile, e al pensiero (che alla fine rischia di trasformarsi in incubo) di doverne fare parte per sempre? Sappiamo che a volte solo la criminalità organizzata riesce ad offrire una soluzione a simili problemi, lasciando insinuare nei giovani la speranza che vi sia una strada, rischiosa ma breve, per ottenere potere, ricchezza e riconoscimento sociale. La capacità di persuasione delle mafie nei confronti dei giovani aumenta al diminuire delle alternative che vengono loro presentate: ne consegue che l’impoverimento produce, specialmente in alcune aree del Paese, l’aggravarsi dei fenomeni mafiosi.
È difficile dire quali siano le ragioni ultime di un simile declino socio-economico. Che si tratti semplicemente di un crudele ed ineluttabile destino, delle conseguenze indirette ma forse più drammatiche della crisi mondiale, di mancanza di determinazione da parte dei singoli nell’ affrontare i propri disagi o della incapacità di chi governa di migliorare la condizione di quei territori, la sostanza non cambia: situazioni del genere fanno parte del nostro Paese e non possono essere ignorate, poichè sono all’origine di molti fenomeni di illegalità. Bisogna riconoscere che esistono categorie sociali e zone geografiche alle quali, al momento, né i mercati (legali) né lo Stato sono in grado di offrire opportunità economiche. Ed è probabile che ciò implichi che debba essere lo Stato a fare la prima mossa, per rimuovere i vincoli e gli ostacoli che oggi bloccano la ripresa. Meno di un mese fa il Governo Gentiloni, chiedendo la fiducia alle Camere, ha indicato tra le priorità della propria azione politica l’attenzione nei confronti dei ceti medi e del Sud. Istituire un Ministero per la Coesione Territoriale e il Mezzogiorno e porvi a capo un professore di economia come Claudio De Vincenti è, in questo senso, un buon segnale, che si spera produca dei frutti. Tuttavia, veniamo da decenni in cui le promesse di definire piani strategici per lo sviluppo del Meridione si sono sprecate, e mentre l’attenzione ricadeva principalmente sulle grandi opere infrastrutturali, che – sebbene possano risultare determinanti per favorire la crescita e l’occupazione – spesso hanno finito per foraggiare gli stessi fenomeni che ci si proponeva di combattere, i paesi si spopolavano, e il tessuto economico che vi gravitava intorno moriva. Distribuire denaro a pioggia non servirebbe a risollevare le condizioni di chi è più in difficoltà: la soluzione va ricercata nelle politiche di lungo periodo. L’obiettivo deve essere l’aumento del numero di occupati, e per perseguirlo occorrerà favorire la nascita di nuove imprese che operino in settori oggi competitivi. Lo Stato dovrà sforzarsi di creare le migliori condizioni possibili per la ripresa, ma sarebbe un errore tornare ad un intervento diretto nell’ economia: l’esperienza storica del Mezzogiorno testimonia più di ogni altra il fallimento dello Stato-imprenditore e dei rapporti collusivi tra politica e imprenditoria.
A chi crede che il problema sia di origine culturale o sia legato ad una certa mentalità conservatrice e immobilista, si può obiettare che il nostro Meridione ha dato i natali ad alcune tra le più brillanti menti che la storia mondiale ricordi, e che in epoche per noi più fauste di quella attuale era difficile trovare un posto nel mondo in cui si vivesse meglio (ne danno prova le serie storiche dei dati relativi alla densità abitativa di alcune zone del Mezzogiorno, come il Golfo di Napoli). Guardiamo invece i dati di oggi. Se, da un lato, una ripresa incisiva dei consumi (+0,3% nel 2015 secondo l’ultimo rapporto SVIMEZ), degli investimenti (+0,8% nel 2015) e dell’ occupazione (+1,5% tra 2014 e 2015, per l’ Istat) sembra ancora lontana, considerati i drammatici effetti della crisi economica (stando al rapporto annuale dell’Istat del 2014, tra 2008 e 2013 nel Mezzogiorno si è registrata una variazione negativa del numero degli occupati pari a 583mila unità), qualche segnale positivo proviene dal mondo dell’imprenditoria giovanile e delle start up (il numero delle quali è aumentato quasi del 40% tra 2015 e 2016, secondo dati elaborati da Confindustria), nonché dal volume delle esportazioni (+10,6% nei primi nove mesi del 2016, secondo l’Istat). Ma è soprattutto la disoccupazione giovanile a suscitare preoccupazione, per i motivi di cui si diceva prima: oggi, nelle regioni del Sud Italia, in media un giovane su due non trova lavoro. Davanti a una simile situazione non è possibile restare a guardare, a meno che non si voglia assistere al definitivo declino del Meridione: nell’ epoca della globalizzazione, il mondo è pieno di opportunità per i nostri giovani più dinamici e capaci, e se le loro idee e la loro energia qui non troveranno spazio, il Mezzogiorno non solo perderà ricchezza, ma diverrà un territorio scarsamente popolato.