Come una vicenda umana di violenza e pentimento può essere stimolo a rivedere la nostra rotta
A cura di Salvatore Scaletta-
Qualche settimana fa, in uno dei soliti dibattiti feroci che intrattengo con amici intelligenti e soprattutto pazienti, mi sono imbattuto nell’intervista rilasciata a Channel 4 News da Kevin Wilshaw, ex leader del National Front, movimento americano di stampo neo-nazista e antisemita. In quell’intervista, dopo ben 40 anni di militanza attiva tra le file del movimento, per la prima volta Wilshaw rinnega apertamente il suo passato e ammette le sue origini ebraiche e la sua omosessualità. Si sofferma sulle ragioni che lo hanno spinto ad aderire ad un movimento neo-nazista nonostante le sue origini, e sui trascorsi di violenze e odio perpetrati durante gli anni della militanza.
L’intervista è molto forte, e merita di essere ascoltata per le numerose implicazioni e per le riflessioni che può stimolare. A mio avviso, la frase più importante è però quella in cui Kevin Wilshaw spiega le ragioni dell’adesione al National Front:
“I wanted to be a member of a group of people that had an aim […]. Even though you end up being a group of people that through their own extreme views are cut off from society, you do have a sense of comradeship in that you’re a member of a group that’s being attacked by other people”.
Qui, in questa banalissima frase, sta tutto il senso del fallimento e dello smarrimento del mondo occidentale contemporaneo.
Quest’uomo, con le sue fragilità e la sua storia drammatica, è incredibilmente figlio del suo tempo. Di quali colpe si è dunque macchiato il tempo in cui Kevin Wilshaw è cresciuto e ha vissuto i primi decenni della sua esistenza?
La risposta a questa domanda è estremamente complessa ma, semplificando notevolmente in poche battute, possiamo dire che la cultura in cui Kevin Wilshaw è nato e cresciuto è la stessa che ha provveduto, con sistematico furore, a rimuovere quasi militarmente dei punti di riferimento – ritenuti obsoleti, espressione di un mondo retrogrado e intrinsecamente sbagliato. La stessa cultura che vanta tra i suoi traguardi quello di aver superato il bisogno della religione (considerata uno strumento di menzogna e oppressione) ma che, ingenuamente, ha provveduto a sostituirla con nuovi idoli. Idoli falsi, veri e propri feticci, per cui in realtà non vale assolutamente la pena di lottare e morire. Una cultura dominata e condizionata in modo totalizzante dalla cosiddetta “rivoluzione” del ’68, di cui il ceto intellettuale si appresta a celebrare il cinquantesimo anniversario nel 2018. Più che una rivoluzione, una menzogna. Una distruzione violenta e ideologica del passato, perpetrata da un élite annoiata e ingrata, che nella sua lotta per un presunto progresso ha lasciato solo macerie e profondo smarrimento.
Un gruppo di persone che abbiano uno scopo, o anche una missione, dicevamo. Era questo ciò di cui Wilshaw era in cerca. Aveva cioè bisogno di una scelta di vita che desse un senso alla vita stessa. Quanto è vero e umano questo desiderio? Moltissimo. Esso è talmente profondo e autentico, da averlo spinto ad unirsi ad un gruppo che aveva come ragione sociale la negazione del suo stesso modo di essere, cioè ebreo e omosessuale.
Wilshaw racconta di aver compiuto queste scelte durante la sua adolescenza, in una fase quindi cruciale nella formazione della coscienza dell’individuo. Diventa allora evidente che, nel momento in cui una mente ancora fresca, malleabile perché giovane, mossa dai desideri insiti nella natura umana, non trova davanti a sé modelli e valori solidi, limiti e confini, ma soprattutto maestri, quasi certamente essa subirà sviluppi pericolosi e addiverrà a decisioni malsane. O del tutto criminali, come in questo caso.
Ecco perché è importante chiedersi: per cosa dovrebbe combattere un giovane oggi? Per cosa sarebbe disposto a morire? In cosa crede realmente oggi un ragazzo? Fino a che punto sarebbe disposto a difenderlo?
Domande di fuoco, che nessuno oggi si fa più. Perché la risposta sarebbe desolante.
Il bisogno di guide e il senso di identità, unite ad una sana educazione alla libertà intesa come responsabilità e al pensiero critico e talvolta controcorrente, rappresentano dunque l’esigenza più radicale dell’occidente contemporaneo. In questo senso, una rilettura dei classici greci e latini, una riscoperta del ruolo del Cristianesimo e del liberalismo, e una seria tutela della libertà di pensiero e di espressione potrebbero essere d’aiuto. Se non saremo in grado di invertire la rotta e fare scelte coraggiose in questa direzione, temo ci resteranno solo macerie da raccogliere.