La tensione fra l’interesse del singolo e l’interesse pubblico nel nuovo quadro europeo sulle crisi bancarie.

A cura del Dottor Raffaele Giannone-

 Il buon funzionamento dell’Unione europea non può prescindere dal raggiungimento di una salda unità in ambito politico, economico e culturale. In tal senso, al fine di definire una risposta normativa univoca alle pluralità di crisi bancarie che, negli ultimi dieci anni, hanno interessato le economie di vari Stati europei, il legislatore europeo ha istituito un nuovo quadro normativo in materia di gestione delle crisi degli enti creditizi. Tale intervento è stato operato mediante l’emanazione della Direttiva n. 2014/59/UE e del Regolamento (UE) n. 806/2014. I suddetti atti giuridici dell’Unione europea hanno istituito, dapprima, un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e, successivamente, norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli stessi. Fra i soggetti maggiormente interessati dalle novità normative introdotte dal suddetto intervento si individuano gli azionisti di società bancaria, i quali hanno subìto una pluralità di limitazioni dei diritti e dei poteri relativi ai titoli azionari di loro titolarità.

Le novità fin qui illustrate sono state operate mediante un bilanciamento fra l’interesse del singolo e quello pubblico. Infatti, l’intera normativa in materia di gestione delle crisi degli enti creditizi si basa sulla volontà del legislatore europeo di salvaguardare e perseguire il raggiungimento dell’interesse pubblico, che, ai sensi dell’art. 31 della Direttiva n. 2014/59/UE, è rappresentato dai principi qui elencati:

  • “garantire la continuità delle funzioni essenziali”;
  • “evitare effetti negativi significativi sulla stabilità finanziaria, in particolare attraverso la prevenzione del contagio, anche delle infrastrutture di mercato, e con il mantenimento della disciplina di mercato”;
  • “salvaguardare i fondi pubblici riducendo al minimo il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario”;
  • “tutelare i depositanti contemplati dalla direttiva 2014/49/UE e gli investitori contemplati dalla direttiva 97/9/CE”;
  • “tutelare i fondi e le attività dei clienti”.

Il legislatore, come dimostrato dal severo trattamento normativo destinato agli azionisti, ha teorizzato la prevalenza dell’interesse pubblico rispetto a quello del singolo azionista di società bancaria e stabilito norme e procedure mediante cui poter salvaguardare e perseguire il raggiungimento del primo dei due interessi.

Il nuovo quadro europeo in materia di risoluzione bancaria prevede quattro strumenti di risoluzione (vendita dell’attività d’impresa, costituzione dell’ente ponte, separazione delle attività e bail-in) mediante cui, senza richiedere alcun preventivo consenso all’azionista dell’ente bancario, è possibile limitare i diritti dello stesso, sia patrimoniali che amministrativi. Infatti, ai sensi di quanto stabilito dalla Direttiva n. 2014/59/UE e dal Regolamento (UE) n. 806/2014, l’azionista può subire una diminuzione del valore delle proprie azioni, nonché l’azzeramento dello stesso e la perdita del proprio status. Inoltre, l’assemblea può essere esautorata e le decisioni ad essa spettanti possono essere deliberate da altri soggetti. Ai sensi dell’art. 32 della Direttiva n. 2014/59/UE, affinché la risoluzione possa operare è necessario che sussistano le seguenti condizioni:

  • l’autorità competente “ha stabilito che l’ente è in dissesto o a rischio di dissesto”;
  • “tenuto conto della tempistica e di altre circostanze pertinenti, non si può ragionevolmente prospettare che qualsiasi misura alternativa per l’ente in questione, […], permetta di evitare il dissesto dell’ente in tempi ragionevoli”;
  • “l’azione di risoluzione è necessaria nell’interesse pubblico” ai sensi del quinto comma del medesimo articolo.

Fra le misure che in maggior misura pregiudicano l’esercizio dei diritti degli azionisti di società bancaria vi sono il bail-in e le misure di intervento precoce individuate nell’ambito degli articoli 28 e 29 della Direttiva n. 2014/59/UE.

Il bail-in (salvataggio interno) è lo strumento mediante cui l’autorità di risoluzione dispone, al ricorrere delle condizioni di risoluzione, la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e per ricapitalizzare la banca in misura sufficiente a ripristinare un’adeguata capitalizzazione e a mantenere la fiducia del mercato.

Tale strumento ha fatto il proprio ingresso nel panorama normativo europeo nel 2014 mediante la Direttiva n. 2014/59/UE (si applica dal primo gennaio del 2016). Le radici del bail-in risalgono ai Key Attributes of Effective Resolution Regimes. Il Financial Stability Board ha, mediante tali principi, definito la necessità che le perdite dell’ente bancario siano sopportate, non dai contribuenti ma, bensì, dal settore privato ed infatti, alla luce di tale inversione di rotta, il principio del bail-in ha sostituito quello del bail-out, secondo cui lo Stato interveniva nel salvataggio dell’intermediario in crisi mediante l’utilizzo di fondi pubblici. Alla luce dell’evidente rilevanza dell’ente bancario nell’economia dei singoli Stati, quest’ultimi, negli anni, hanno operato ripetuti interventi finanziari a sostegno delle banche in difficoltà, legittimando di conseguenza la diffusione di comportamenti di moral hazard da parte degli azionisti. Al fine di limitare tale fenomeno, la Direttiva n. 2014/59/UE e il Regolamento (UE) n. 806/2014 hanno stabilito che l’intervento dello Stato nella crisi di un ente bancario deve considerarsi una soluzione di ultima istanza. Infatti, ai sensi dell’art. 56 della Direttiva n. 2014/59/UE, gli strumenti pubblici di stabilizzazione finanziaria possono essere disposti solo dopo “aver valutato e utilizzato, nella massima misura possibile consentita dal mantenimento della stabilità finanziaria, gli altri strumenti di risoluzione”.

Proprio come avviene nell’ambito dei quattro strumenti di risoluzione, anche le misure di intervento precoce, previste dall’art. 27 della Direttiva n. 2014/59/UE, incidono in maniera evidente sui diritti degli azionisti di società bancaria. La recente normativa in materia di crisi bancarie prevede l’applicazione dei suddetti strumenti al fine “di porre rimedio al deterioramento della situazione finanziaria ed economica di un ente prima che questo giunga a un punto tale per cui non vi siano alternative alla risoluzione”. In materia di limitazione dei diritti in esame, si rilevano le conseguenze determinate dall’applicazione delle misure oggetto degli articoli 28 e 29 della Direttiva n. 2014/59/UE. L’art. 28, concernente la rimozione dell’alta dirigenza e dell’organo di amministrazione, pregiudica la deliberazione assembleare di nomina degli amministratori. L’art. 29, invece, contiene previsioni più penetranti nei confronti dei diritti degli azionisti. Esso, infatti, prevede il potere dell’autorità competente di nominare un amministratore temporaneo. Tale nomina segue ad una precedente valutazione degli effetti di un’eventuale applicazione dell’art. 28. Se la rimozione dell’alta dirigenza o degli amministratori è ritenuta insufficiente per porre rimedio alla situazione, allora, è previsto che sia nominato un amministratore in sostituzione ovvero per affiancare il precedente amministratore. Viene quindi pregiudicato il diritto dell’azionista di partecipare, mediante l’esercizio del proprio diritto di voto, alla nomina degli amministratori.

La limitazione dei diritti degli azionisti operata in seno agli strumenti di risoluzione e alle misure di intervento precoce risponde al principio di prevalenza dell’interesse pubblico rispetto a quello individuale. Ma nonostante ciò, il legislatore ha disposto delle tutele procedimentali e delle salvaguardie al fine di regolare la compressione dei suddetti diritti. Al fine di porre in essere un “giusto bilanciamento” fra l’interesse pubblico e quello del singolo individuo, il legislatore ha predisposto una condizione idonea ad assicurare l’equità nel trattamento degli azionisti. Infatti, a seguito della risoluzione, l’azionista bancario non può subire un trattamento sfavorevole rispetto quello a cui sarebbe stato destinato in caso di applicazione del procedimento d’insolvenza nazionale (principio del “no creditor worse off”). L’art. 73 della Direttiva n. 2014/59/UE declina il suddetto principio in due diverse fattispecie: la cessione parziale di diritti, attività e passività della banca soggetta a risoluzione e l’applicazione dello strumento del bail-in. Nel primo caso, gli azionisti lesi a seguito della cessione in oggetto, ricevono “una somma non inferiore a quella che avrebbero recuperato se l’ente soggetto a risoluzione fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza immediatamente prima della cessione al momento in cui è stata adottata la decisione” che sancisce l’adozione della risoluzione (art. 73, comma 1, lett. a, Direttiva n. 2014/59/UE). In caso di applicazione del bail-in, gli azionisti assoggettati al suddetto strumento “non subiscono perdite superiori a quelle che avrebbero subito se l’ente soggetto a risoluzione fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza immediatamente prima della cessione al momento in cui è stata adottata la decisione” che sancisce l’adozione della risoluzione (art. 73, comma 1, lett. b, Direttiva n. 2014/59/UE). In caso di mancato rispetto del principio del no creditor worse off, l’azionista ha il diritto di incassare la differenza fra i suddetti valori ai sensi dell’art. 75 della Direttiva n. 2014/59/UE. Ai sensi del medesimo articolo tale somma è versata dal fondo di risoluzione. L’eventuale differenza di trattamento è verificata da una persona indipendente che, come previsto dall’art. 74 della Direttiva in esame, “effettua una valutazione il più presto possibile dopo l’avvenuta azione o le avvenute azioni di risoluzione”.  La persona incaricata deve accertare il trattamento che gli azionisti avrebbero ricevuto in caso di applicazione della procedura ordinaria d’insolvenza e il trattamento che invece gli stessi hanno ricevuto nell’ambito della risoluzione della banca e infine verificare l’eventuale sussistenza di una differenza (art. 74, comma 2, Direttiva n. 2014/59/UE). Tale diritto è configurato come indennizzo e non come risarcimento danni, in quanto non ha la funzione di reintegrare un danno contrattuale o extracontrattuale, bensì ha la funzione di riconoscere una somma a titolo di rettifica dei conteggi di stima precedentemente applicati e successivamente aggiornati. Alle salvaguardie sopra elencate, si aggiunge il diritto alla preventiva verifica delle condizioni necessarie all’avvio della risoluzione (art. 32 della Direttiva n.2014/59/UE), il diritto che le limitazioni inerenti i diritti degli azionisti debbano essere operate nel rispetto delle procedure dettate dalle normative rappresentanti il nuovo quadro europeo in materia di gestione delle crisi bancarie e il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 85 della Direttiva n. 2014/59/UE). In riferimento a quest’ultimo, l’art. 85 della Direttiva n. 2014/59/UE stabilisce che gli Stati membri assicurino la celerità del ricorso e che “i tribunali nazionali ricorrano alle valutazioni economiche complesse dei fatti effettuate dall’autorità di risoluzione quale base per la propria valutazione”.

Pertanto, nonostante le limitazioni che la recente normativa in materia di crisi bancarie prevede con riferimento ai diritti degli azionisti, l’impianto normativo in esame stabilisce delle rigide salvaguardie a tutela degli stessi.

I sacrifici che la normativa in oggetto riserva alla categoria degli azionisti mirano, inoltre, a disincentivare le condotte di moral hazard che hanno contribuito allo scoppio delle recenti crisi economiche. Si auspica, quindi, che gli azionisti di società bancaria assumano piena consapevolezza delle responsabilità e delle funzioni sociali che il loro status comporta. In qualità di detentori di capitale di rischio sono, per loro natura, esposti alla sopportazione delle perdite dell’impresa, e in presenza di interessi preminenti della collettività possono subire delle limitazioni dei propri interessi individuali, ma con la consapevolezza che qualunque compressione dei loro diritti debba rispettare i modi e le condizioni previste dalla recente normativa in materia di gestione delle crisi bancarie. Infatti, l’interferenza dello Stato nel diritto di proprietà deve essere regolata da un atto giuridico che preveda salvaguardie procedurali e rispetti il principio della certezza del diritto.

 

Bibliografia

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