di Antonio Di Ciommo-
Nell’articolo che segue, chiaramente scaturito dai fatti di Macerata e da tutto quello che ne è seguito, ci si chiede se sia giusto definire “fascista” il mancato assassino Traini o “comunisti della sinistra extraparlamentare” quegli aggressori che hanno ferito un pubblico ufficiale nell’esercizio dei suoi doveri.
Leggendo gli articoli delle redazioni online, i quotidiani, guardando i telegiornali, alcuni hanno come la sensazione di essere ritornati al 1969, quando la prima strage del terrorismo politico (nero, in quel caso) inaugurava gli anni di piombo; altri ancora, però, sembra abbiano la sensazione di essere ritornati alla notte del 27 ottobre 1922, a un giorno dalla Marcia che porta Benito Mussolini al governo del Regno d’Italia.
Nessuno è concorde su nulla riguardo i fatti di Macerata e su ciò che ne è seguito. La Campagna elettorale ne ha fatto, per l’ennesima volta, facilissimo e caldissimo terreno di scontro ideologico.
L’elenco delle parti in causa e i loro ruoli possono essere così sintetizzati: tra i grandi partiti, il Movimento 5 Stelle ha ben pensato di non proferire parola e di rendersi, in modo poco coraggioso e poco degno di un partito che raccoglie il consenso del 25% degli aventi diritto, astenuto; invece, il duo Salvini/Meloni da un lato e tutta la sinistra, compreso Renzi, dall’altro, hanno mandato in replica l’indecoroso spettacolo intitolato: “Fascisti vs. Comunisti” (sottotitolo: “Come fare gli sciacalli su qualsiasi avvenimento tragico, per ottenere un voto in più”).
Sono passati 49 anni da quando gli anni di piombo iniziavano a terrorizzarci, eppure questa dialettica, questo inutile scontro ideologico, questo atteggiamento per il quale, dolosamente o colposamente, i fatti passano in secondo piano rispetto al motivo ideologico che li ha provocati, questo ragionamento per il quale eventi come questi non sono ritenuti soltanto come sovversivi e criminali, ma ogni volta sono considerati come fatti compiuti nell’ambito, sicuramente particolare, di una attività politica e questo atteggiamento per il quale “Traini è uno sporco fascista” e i picchiatori di Piacenza sono “le zecche rosse che tutelano la democrazia solo quando gli fa comodo” sono i ragionamenti responsabili di un fiume di sangue lungo 49 anni di storia, cominciato con la dialettica terrorismo nero/terrorismo rosso, continuato nel mezzo secolo che è passato e mai veramente concluso.
È così difficile accettare il fatto che chiunque agisca come Traini o come i gli agressori di Piacenza siano comuni criminali? È così difficile qualificare questi delitti politici, prima di tutto come delitti e, solo secondariamente, quasi come fosse irrilevante, considerare il loro limitato intento politico? È così difficile affermare che i soggetti che compiono tali fatti non hanno diritto a che gli venga riconosciuta una qualsiasi appartenenza politica? È così difficile tacere o, almeno, non fare sciacallaggio? È così ardua impresa limitarsi a dire che chi occupa immobili rubandoli ai legittimi proprietari, chi distrugge negozi perché bisogna spaccare, chi scrive o attacca manifesti abusivamente sui muri, chi picchia, chi intimidisce, chi pretende di essere al di sopra della legge e svolge ronde sostituendosi agli organi di pubblica sicurezza, chi afferma di svolgere attività dal particolare valore sociale, ma di fatto le svolge per lucrare o coprire attività illecite, a qualsiasi titolo e sotto qualsiasi forma, sia solo un criminale da perseguire così che venga attuato il principio della funzione rieducativa della pena?
Insomma, è troppo difficile definirli soltanto delinquenti, sperare silenziosamente che vengano presi, processati e condannati, mettendo un punto fermo alla inutile e dannosa discussione che ci trasciniamo da mezzo secolo?