Di Emanuela Storti–
Per giuristi appassionati di arte e di storia, “The woman in gold”, regia di Simon Curtis, è un film che riguarda una delle vicende legali più avvincenti di sempre.
La storia è ispirata a fatti realmente accaduti concernenti la storia di Maria Altmann, ebrea sfuggita all’Olocausto, e della sua battaglia contro il governo austriaco per la restituzione di un dipinto di Klimt, “Ritratto di Adele Bloch-Bauer”, appartenente alla sua famiglia e sottratto dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.
Maria Altmann, interpretata da Helen Mirren, è assistita dall’avvocato Randol Schoenberg, nel film Ryan Reynolds, e con l’aiuto del giornalista austriaco Hubertus Czenin decide di intentare la causa contro il governo austriaco in nome della sua amata zia, Adele Bloch-Bauer, ritratta dal pittore Gustav Klimt su commissione del marito, che alla morte lasciò tutto il suo patrimonio ai nipoti, sebbene la moglie avesse espresso la volontà di conservare il dipinto che portava il suo nome nella Galleria austriaca del Belvedere, a Vienna.
In primis, c’era un problema di fondo sulla possibilità materiale di far causa al governo austriaco in ragione del Foreign Sovereign Immunities Act (FSIA), che ha ad oggetto la disciplina relativa alla immunità degli Stati nel diritto internazionale con le dovute eccezioni, purtroppo datato 1976 e quindi non applicabile a fatti avvenuti anteriormente. La Corte Suprema degli Stati Uniti non solo ha ammesso la retroattività del FSIA, ma la pronuncia ha aperto la possibilità di procedere con un’azione civile contro l’Austria presso una Corte di distretto federale degli Stati uniti. Tale conseguenza è stata particolarmente importante, in quanto, secondo la legge austriaca sulle spese processuali, l’attrice avrebbe dovuto versare una percentuale calcolata sul valore recuperabile dalla causa: questa somma, però, dato il cospicuo valore dei dipinti, era esorbitante.
Superata questa fase, le parti hanno optato per un arbitrato che si è pronunciato in favore della Altmann. In effetti, il dipinto fu commissionato dal marito di Adele ed era di sua proprietà; ciò rendeva le ultime volontà della donna, circa la collocazione del dipinto, prive di valore legale, consentendo così ai nipoti di ereditarlo legittimamente.
Il caso in questione ha un notevole significato dal punto di vista storico: molti sono i beni rubati dai nazisti ai musei dei Paesi europei occupati e alle famiglie ebree vittime dell’Olocausto. Il film mette in luce questo aspetto e si concentra sul far trasparire la sofferenza di una giovane donna costretta a fuggire a causa della guerra. La restituzione del “Ritratto di Adele Bloch-Bauer”, insieme ad altri dipinti appartenenti alla sua famiglia, può essere considerata l’emblema della vittoria dell’umanità sull’odio nazista.