Il governo del cambiamento, spiegato dai Maestri fiamminghi

Di Leonardo Esposito-

 

Quando penso a questo governo, penso al caos.
Un turbine sferzante di mosse convulse e disordinate, uno stridore sconclusionato che trafigge le orecchie prima di abbandonarmi, solo, confuso e con un forte senso di nausea.
Non è una questione di merito, sia chiaro. Poco mi importa del contenuto di leggine e decretoni, scritti da chissà quante e chissà quali manine nottetempo: oggi come ieri, saranno mal scritte e costose, insulse e avulse da un sistema sempre più (appunto, mi vien da dire sorridendo) caotico. Non è affar mio, del resto, interessarmi dei perché, giusti o sbagliati (beninteso, soprattutto sbagliati) che siano: per quale ragione dovrei tediarmi nel dimostrare quanto sia insulso regalare pecunia pubblica a dei pelandroni qualunque, il cui unico merito è alzare le natiche da un divano e non lavorare?
No, non sono valutazioni che spettano a me, ammesso che qualcosa possa spettarmi. Piuttosto, e come spesso ripeto, il problema sta nel metodo. In cinque mesi di governo, non ho fatto altro che assistere inerme ad una serie interminabile di sproloqui che altro non facevano che contraddirsi, da soli e reciprocamente, o gettare accuse prive di logica addosso ai primi malcapitati a tiro, mentre i fini oratori che lanciavano siffatte invettive si atteggiavano a giganti di una politica che non capiscono.
Ma non credete a me o alle mie ciarle da giurista pseudointellettuale. Gettatevi, piuttosto, a capofitto nell’uragano di comunicati, interviste, dirette e post su Facebook, che si combinano insieme fino a comporsi in una grottesca scena degna delle migliori visioni infernali dei pittori fiamminghi.
Non è un riferimento casuale, quello ai maestri delle Fiandre: le concitate scene apocalittiche di un Bosch o un Bruegel, sono dense di personaggi dagli occhi infossati che si affannano senza posa con movenze frenetiche, avvolti in tinte rosse e brune, opprimenti e ustionanti, mentre orride creature infestano panorami catastrofici. E, come se il filtro della cornice tra fantasioso e reale fosse venuto meno, nel governo arlecchino rivediamo tutto questo, e molto altro.
Non vedo differenze, tra un Di Maio che grida al complotto sovversivo all’interno dei ministeri, inneggiando a manine di arcana origine che modificano maliziosamente i decreti – salvo poi scoprire che nulla di tutto ciò era vero -, con la “Margherita la Pazza” di Bruegel, che corre verso la bocca dell’inferno con occhi spiritati e colta dal panico, mentre stringe un bottino arraffato chissà come, chissà dove. Magari per distribuirlo ai disoccupati delle Fiandre del primo ‘500, non diversamente da quel che vuole fare il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico. Con una differenza: l’economia belga, ai primi del XV secolo, non languiva come quella italiana odierna, che il Capo Politico pentastellato vuol risollevare con politiche economiche che si aggrappano disperatamente a qualche misterioso moltiplicatore keynesiano.
Ma non solo. Come non rivedere nel Ministro Salvini, che fagocita qualsiasi notizia per poi espellerla rimodulata ad arte e forgiata a proprio piacere, il mostro al centro dell’”Inferno musicale” di Bosch, che, assiso sul suo comodo trono, divora e subito evacua i poveri dannati? Che poi al tema dell’evacuazione corporale si possano ricollegare i temi trattati del ministro dell’Interno, è valutazione che lascio al gusto dei miei lettori. Una somiglianza, invero, che lambisce la pedissequa imitazione, se con fantasia (nemmeno molta, invero) paragoniamo gli aggressivi fautori del “Capitano” ai diavoli che, attorno al trono dorato, avvinghiano e seviziano le anime malcapitate.
E poi c’è la sfavillante costellazione ministeriale, dove rivediamo quelle dozzine di esseri fantasiosi, grotteschi e folli che costellano queste opere: da Rocco Casalino, che minaccia epurazioni severissime, con una tenacia che non si vedeva dalle grandi purghe sovietiche, al ministro Toninelli, che prima alza i toni con Atlantia, e poi ammutolisce chiedendo che il pubblico abbia pietà per qualche decretuncolo scritto col cuore. Da qualche parte rivedo pure Alessandro Di Battista, che pure non fa parte del governo (“potevo fare il ministro!” disse ridendo dalle pianure del Sudamerica, lanciato in un vaneggiante streaming dal sapore vagamente autarchico dinnanzi alla folla eccitata di “Italia a 5 Stelle”, l’adunata oceanica dei più grandi fan del MoVimento): vive, probabilmente, ancora nel suo mondo di fantasia, un Giardino delle Delizie dove tutte le promesse del MoVimento sono realizzabili, dove i politici sono onesti, e dove al nome Matteo Renzi non risponde alcuno.
Infine, il Presidente del Consiglio dei Ministri, la stella fissa del vorticoso panorama di maggioranza. Una fissità che, spesso, si traduce in carenza d’iniziativa, al punto da ricordare l’uomo-albero nell’inferno raffigurato da Bosch, nel cui tronco cavo trovano rifugio pochi folli e disperati. Esattamente come nelle parole moderate di un Premier troppo coerente per defilarsi questa danza macabra che amiamo (ovvero odiamo, a seconda dei gusti) chiamare governo trovano rifugio grillini e leghisti dalle conseguenze dei propri sproloqui. È significativa l’espressione dell’essere abominevole nel dipinto: un misto di apatia e disprezzo per il delirante patetismo che lo circonda. Che quest’ultima frase si riferisca a Conte, o a cariche ben più alte, è mistero che lascio alla vostra fantasia.
Ma probabilmente sto esagerando. È possibile che sia io a non comprendere la logica, il grande piano dietro al caos di questo governo: ad ogni contraddizione, ad ogni furibonda invettiva contro Bruxelles o, ad ogni altisonante diretta, potrebbe corrispondere un geniale stratagemma politico, uno di quelli che non si vedono da decenni. Dopotutto, è proprio quella commistione di caos, terrore e delirio che ha reso le opere dei fiamminghi quei capolavori senza tempo che ancora oggi ammiriamo con commosso struggimento.
E allora, continuiamo a deliziarci di questa beata visione: poco importa se sullo sfondo di questi dipinti, ci sono solo città in fiamme.

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