La televisione italiana ai tempi di Netflix A tu per tu con Luca Bernabei

Di Elena Mandarà

Luca Bernabei è uno dei più importanti produttori italiani, amministratore delegato della società di produzione televisiva Lux Vide, fondata dal padre Ettore nel 1992 e gestita insieme alla sorella Matilde. Ha prodotto numerosissimi film e serie tv, fra cui grandi successi come “I Medici”, “Don Matteo”, “Coco Chanel”, “Un passo dal cielo”. Noi di Iuris Prudentes abbiamo avuto il piacere di parlare con lui dell’affascinante e complicato mondo della produzione televisiva italiana nel panorama europeo e mondiale odierno.

Vorrei iniziare da come si produce un film. Qual è l’iter che porta dall’idea ai contenuti fruibili sui nostri schermi?

Proprio ora siete in una casa di produzione, il luogo dove si pensa e si realizza tutto ciò che non è girare un film, inteso come il momento fisico in cui vengono fatte le riprese. Qui si parte dall’idea, dal germe primigenio di una serie o un film, e di esso, normalmente, si occupano il produttore e il suo team più ristretto. Successivamente, l’idea viene affidata ad uno sceneggiatore, che si occuperà di svilupparla e creare la sceneggiatura, cioè l’intelaiatura che sorregge ogni opera. A questo punto, il progetto viene presentato ad un regista, insieme al quale si individuano gli attori da coinvolgere; ed è solo a questo punto che iniziano le riprese, realizzate nelle varie location, sia in studio che esterne. Infine, si apre la fase di post-produzione, che consiste nel montaggio e nella pulizia della parte visiva e della parte audio, attraverso la sonorizzazione, il montaggio delle musiche, ecc. Nella realizzazione delle serie tv, tutte queste fasi sono seguite dagli editor, che pertanto rappresentano una delle figure professionali più importanti presenti della casa di produzione. Come potete vedere, a dispetto di quello che si pensa comunemente, il ruolo del produttore – nel mio caso, del produttore creativo – non si riduce alla mera ricerca delle risorse finanziarie, per quanto queste ultime siano di fondamentale importanza.

Quanto tempo dura, all’incirca, questo processo?

Per le serie più impegnative abbiamo impiegato fino a 5 anni di lavoro, ma di norma il periodo oscilla fra i 2 e i 3 anni.

A proposito della figura dell’editor che ha citato poc’anzi, di cosa si occupa esattamente?

Un editor segue tutte le fasi di sviluppo di una serie tv, dalla scrittura dello scheletro della serie e dei personaggi, alla stesura della sceneggiatura insieme agli sceneggiatori, fino al lavoro sul set, dove il suo compito è quello di accertare che le sceneggiature vengano rispettate. A lui vengono inviati i cosiddetti “giornalieri”, cioè le riprese che man mano vengono girate sul set, fra le quali sono selezionate le scene migliori che, grazie al lavoro dei montatori, daranno vita alla puntata che sarà poi mandata in onda.

Guardando, invece, all’aspetto normativo, quali cambiamenti ha portato l’Unione Europea nel mondo della produzione?

A dire il vero, l’Europa non è entrata specificatamente in questo settore e, ad oggi, le leggi nazionali prevalgono sulla normativa comunitaria. Sotto alcuni aspetti, come ad esempio quello del tax credit, è importante che le opere prodotte siano state girate in Europa, ma in generale la disciplina europea ha intaccato gli aspetti industriali del settore, occupandosi prevalentemente della legislazione economica. Questo, per di più, è un settore in cui la parte contrattuale è molto sviluppata: ci sono di mezzo diritti di copyright che vengono ceduti dal produttore al co-produttore e diritti che il produttore acquista dagli attori per lo sfruttamento della loro immagine. Non a caso, negli ultimi anni si è diffusa la prassi di pagare gli sceneggiatori non soltanto attraverso una remunerazione in denaro, ma anche mediante la cessione di parte dei diritti. Inoltre, il quadro si complica perché, agendo in un contesto mondiale, bisogna confrontarsi anche con le legislazioni e le condizioni poste dagli altri Paesi, che spesso sono molto stringenti e impongono regole alle quali è praticamente impossibile derogare.

Il mancato interesse dell’Unione Europea rappresenta, quindi, un elemento fortemente negativo. Una disciplina più incisiva a livello comunitario quali vantaggi potrebbe portare?

I vantaggi che se ne potrebbero trarre sono diversi. Sarebbero molto utili, ad esempio, delle norme di finanziamento europeo, o norme che possano garantire la tutela dei contenuti europei, tenuto conto del fatto che, in questo momento storico, siamo pressoché invasi dai prodotti del mondo americano e anglosassone (si pensi a piattaforme come Netflix o Amazon video). Sotto questi aspetti, l’Unione Europea è stata del tutto assente: basti pensare che nessuno dei colossi del settore paga le tasse in Europa. Sarebbe auspicabile, ad esempio, che una parte degli introiti realizzati nei nostri territori venisse lasciato qui, a favore delle aziende europee operanti del settore. Le istituzioni comunitarie, invece, si sono dimostrate ipertrofiche nella materia della tutela del lavoro e dell’impresa.

L’ultima Direttiva europea in materia, però, la cosiddetta “Direttiva Netflix”, impone che almeno il 30% dei contenuti proposti dalla piattaforma sia di provenienza locale. Forse qualcosa si sta muovendo…

Sì, è sicuramente un primo tentativo d’intervento da parte dell’Unione, ma bisognerà vedere se verranno effettuati dei controlli al fine di garantire il rispetto di questi limiti. In ogni caso, le grandi aziende sono molto attente e si stanno muovendo nella giusta direzione. Noi, ad esempio, abbiamo avviato una collaborazione con Netflix e con Amazon per una serie locale in lingua italiana. Qualche risultato inizia a vedersi, ma dovremo attendere ancora qualche mese per valutare davvero gli effetti della direttiva.

Com’è cambiato il mondo televisivo con la nascita di Netflix o di Amazon video?

Il cambiamento maggiore è determinato dalla circostanza che, mentre in passato si lavorava nei Paesi esteri mediante lo strumento della co-produzione, adesso il prodotto ha di per sé un carattere globale. I produttori, pertanto, sono costretti a confrontarsi con una platea molto più ampia, che ha una prospettiva sovrannazionale. Questo respiro internazionale, dunque, rende il lavoro più complesso perché, da un lato, si devono soddisfare gusti molto eterogenei e, dall’altro, sono necessari finanziamenti di gran lunga più ingenti. Ad esempio, una serie europea che aspiri ad imporsi sul mercato mondiale, ha un costo che si aggira sui 20-30 milioni di euro. Il rischio per il produttore, come capite bene, è altissimo.

E in questo contesto globale, quanto è competitivo il prodotto italiano?

L’Italia sta attraversando un momento fortunato in Europa: serie come “Gomorra”, “Suburra”, “Amica geniale”, e le nostre “I Medici” e “Devils”, hanno riscosso un vasto successo. Oggi siamo riconoscibili, mentre in passato eravamo del tutto marginali. Certo, le sfide sono sempre più grandi e complesse e, come spiegavo poc’anzi, per un produttore è sicuramente molto più difficile fare profitto: la competizione con Paesi come gli Stati Uniti – dove è il territorio stesso a finanziare la produzione – risulta spietato. I prodotti americani partono spesso con l’80% di prodotto finanziato, mentre quelli italiani solo con il 50%.

Ricollegandoci a quanto detto prima, allora, uno degli obiettivi cui la legislazione europea dovrebbe tendere è la maggiore tutela del produttore.

L’Unione Europea dovrebbe intervenire, difendendo, però, non solo il produttore, ma anche la cultura europea. Non dobbiamo dimenticarci che l’Europa non è soltanto un’unione economica, ma anche culturale. Le affinità fra i Paesi membri sono affinità culturali: l’identità europea dovrebbe essere protetta e rappresentare il valore aggiunto del prodotto.

Qual è il valore aggiunto che potrebbe avere un prodotto italiano? Può l’Italia portare nel mondo i suoi valori, la sua bellezza, la sua cultura, il cibo? Valori che, spesso, nell’immaginario nazionale, sono superati dagli elementi negativi.

Può sicuramente farlo. Noi, ad esempio, con “I Medici” abbiamo raccontato il Rinascimento, uno dei periodi storici che ha maggiormente cambiato la cultura occidentale. I Medici sono stati grandi mecenati: grandi banchieri ma, al contempo, grandi estimatori dell’arte e della cultura. Hanno voluto far sì che Firenze diventasse una città ideale, motivo per il quale, ancora oggi, tutto il mondo va ad ammirarla. E Firenze è davvero una città stupefacente, piena di arte, di monumenti: gli Uffizi sono uno scrigno di cultura e la Cupola di Brunelleschi è una delle più belle opere architettoniche mai realizzate al mondo. Ci sembrava necessario raccontare la bellezza italiana. Per farlo, però, dovevamo uscire fuori dagli angusti confini nazionali. Abbiamo scelto un grande sceneggiatore americano, un grande regista americano, due grandi attori internazionali come Richard Madden e Dustin Hoffman. E’ possibile portare i valori italiani nel mondo, ma soltanto dando un’altezza adeguata a questi contenuti. Sicuramente una delle risorse più grandi dell’Italia resta la possibilità di raccontare la sua storia, la sua cultura, le sue città.

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