Il diritto d’autore del personaggio: il caso Betty Boop

a cura di Alessandro Avagliano –

Sonic, Super Mario, Kratos. Ma anche Topolino, Spiderman, Dylan Dog: protagonisti indimenticabili di fumetti, film e videogiochi. Indimenticabili, certo. Ma sono indimenticabili anche i loro creatori? Dietro questa domanda volutamente provocatoria si nasconde una questione legale che ha interessato la più recente giurisprudenza italiana. Una questione che riguarda l’estensione della tutela assicurata dall’ordinamento ai diritti di utilizzazione economica, ai diritti morali e ai diritti connessi riconosciuti agli autori di opere creative: il c.d. diritto d’autore.
Da un lato è infatti indubbio che il diritto d’autore tutela l’opera d’arte nella sua forma esteriore, e in particolare nella sua espressione verbale: i primi software infatti furono tutelati a livello comunitario come opere “testuali” (cioè in quanto stringhe di caratteri alfanumerici) e non invece in relazione alla loro funzione. Dall’altro, il limite del diritto d’autore è che, perlomeno in via di principio, non dovrebbe tutelare il contenuto dell’opera. In effetti si potrebbe argomentare che ogni situazione, ogni storia è già stata raccontata o rappresentata.
Già Omero, nella sua lingua dolcissima, aveva cantato la guerra, l’amore, il viaggio, la disperazione, la serenità; già lui aveva creato, a suo modo, l’antenato del fantasy, con personaggi come Polifemo o la Maga Circe. Sarebbe quindi privo di giustificazione vietare a chiunque altro di scrivere d’amore, di guerra o di incantesimi. Ma sul personaggio di fantasia, anch’esso espressione del contenuto dell’opera, è attribuibile all’autore un diritto esclusivo? Nel nostro ordinamento la risposta dev’essere positiva, ma a determinate condizioni.
Sicuramente, ai sensi dell’art. 7 del Codice della Proprietà Industriale, i personaggi di fantasia «suscettibili di essere rappresentati graficamente […] possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa». Ed è proprio sul marchio – riguardante una specifica rappresentazione grafica di Betty Boop – che si è concentrata la sentenza n. 953/2016 del Tribunale di Bari. La multinazionale Hearst Holding Inc aveva registrato più marchi aventi ad oggetto proprio il personaggio di Betty Boop in un vestito nero, con un cuore sullo sfondo. La società statunitense Avela Inc aveva successivamente inserito in una serie di poster da distribuire sul mercato, rielaborandola, l’immagine di Betty Boop, concedendo anche alcune licenze per l’apposizione dell’immagine su determinati capi d’abbigliamento. Avela era quindi convenuta in giudizio per contraffazione dei marchi registrati da Hearst Holding, ma il tribunale è stato di un’opinione diversa: ha affermato che il marchio tutela non il personaggio in quanto tale, ma solo quella specifica rappresentazione grafica che è stata registrata, e quindi non anche rappresentazioni diverse e frutto di una rielaborazione artistica.
L’attività di Avela non è stata perciò ritenuta illecita. La funzione del marchio, infatti, è semplicemente quella di evitare che il consumatore cada in errore sull’origine del prodotto (cioè sull’imprenditore dal quale proviene); pertanto il marchio non può avere anche una funzione sostitutiva del diritto d’autore sul personaggio. Si rende quindi necessaria una tutela più pregnante, riscontrabile già in una sentenza del 1996 in cui il Tribunale di Milano aveva affermato che il personaggio di fantasia, allorché dotato di una «spiccata identità e concretezza di espressione», può costituire un’opera a sé stante, distinta dall’opera della quale è protagonista, e quindi tutelabile in via autonoma. E così è stato per Tex Willer (nel 1992), Calvin & Hobbes (nel 2008) e per la stessa Betty Boop (nel 1992).
L’opera d’arte, secondo l’Enciclopedia Treccani, è ogni «espressione originale dell’artista», prodotto del suo talento inventivo o della sua capacità espressiva. E allora come può il personaggio non essere una delle espressioni più alte dell’ingegno dell’artista? È un’entità che fuoriesce dall’immaginazione dell’autore e prende corpo, un po’ come i Looney Tunes in “Space Jam”. E se è ben caratterizzata, è anche estremamente riconoscibile. Qualsiasi opera d’arte è in realtà proprio il risultato di un processo di alienazione, per dirla con Marx: l’artista produce un qualcosa che prima non c’era, attingendo dal proprio animo e dando autonoma rilevanza a una parte di sé. Così il personaggio è opera d’arte nell’accezione più pura del termine: è creazione di emozioni, di un vissuto, di un carattere. E, se e in quanto tale, deve ritenersi oggetto del diritto d’autore.

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