Di Elena Mandarà-
La tutela dell’ambiente, che ad oggi rientra, a parere unanime della giurisprudenza, fra i valori costituzionalmente tutelati, nel novero dei diritti c.d. di terza generazione, deve, in quanto tale, essere garantita in primo luogo da parte delle amministrazioni pubbliche. Inoltre, e non a caso, l’ambiente costituisce uno degli interessi posti centralmente anche dall’UE, che ha dedicato molte Direttive al fornire agli Stati degli standard minimi a cui adeguarsi al fine di ridurre l’impatto ambientale. Rilevante importanza assume in tal senso la Direttiva 27 / 2012 in materia di efficientamento energetico degli edifici pubblici, la quale ha dato luogo nel nostro Paese all’elaborazione di numerosi piani strategici coordinati dal MISE. La Direttiva in questione prevede l’obbligo per le PA di efficientare almeno il 3% della superficie degli edifici pubblici. Accanto a questa Direttiva, poi, l’UE è intervenuta stanziando moltissimi fondi a favore di progetti di efficientamento con riguardo non solo agli edifici pubblici, ma più in generale all’illuminazione pubblica e all’edilizia popolare. Questi fondi, però, raramente sono stati adeguatamente impiegati dagli enti locali. Appena lo scorso giugno, il CEO della ESCo Sasmo Gianpiero Cascone, fece luce sull’incredibile spreco di fondi soprattutto da parte delle Regioni del Mezzogiorno, per la mancata presentazione di progetti idonei al finanziamento. Si parlava di cifre superiori agli 850 milioni di euro, tanto per dare un’idea. Appena lo scorso gennaio, il Governo ha provveduto a dare attuazione alle misure previste dal d.lgs. 102/2014, disciplinato a sua volta dal decreto MISE del 22 dicembre 2017, grazie al quale è stato istituito il Fondo efficienza energetica. Le risorse messe a disposizione andranno a vantaggio tanto delle PA quanto delle imprese private, e saranno destinate al finanziamento di progetti di efficientamento energetico. È tutto da vedere, però, quanta parte di questi fondi si trasformerà in progetti concreti e quanta, invece, andrà ancora una volta sprecata. La PA italiana continua a rivelarsi, infatti, assolutamente impreparata a cogliere le sfide che il nostro Paese è chiamato ad affrontare, specialmente nell’ambito di un’ottica europea e nel contesto globale. A fronte di annunci, buone intenzioni, e slogan da parte degli esponenti politici, infatti, manca una preparazione concreta sui temi più innovativi e rilevanti, ed il risultato è, inevitabilmente, lo spreco di occasioni di sviluppo e miglioramento. Mancano spesso all’interno delle amministrazioni locali delle figure professionali specializzate su questi temi e, anche laddove sia presente la figura del cosiddetto Energy Manager, questo è, nella maggior parte dei casi, costretto ad operare in un contesto di totale isolamento, nel quale è quasi impossibile portare avanti una programmazione fruttuosa. La questione ambientale, fra l’altro, non costituisce neanche l’unico risvolto negativo di questa situazione. È chiaro, infatti, che in primo luogo l’attuazione dei suddetti piani di efficientamento consentirebbe una riduzione drastica dei consumi energetici da parte degli enti pubblici, con notevoli effetti positivi sull’ambiente. Oltre a questo aspetto però, non bisogna sottovalutare gli altri aspetti positivi che ne seguirebbero da un punto di vista sociale ed economico. Anzitutto, infatti, si stima che l’abbattimento dei costi potrebbe raggiungere circa il 70%. Questi progetti rappresenterebbero dei veri e propri investimenti, che consentirebbero alle amministrazioni di tagliare sprechi e reindirizzare le risorse verso altri obiettivi. Inoltre, operazioni di questo tipo darebbero un impulso anche al mondo del lavoro, perché, comportando il coinvolgimento di aziende private, permetterebbero la creazione di numerosissimi posti di lavoro, nonché l’impiego di figure altamente professionalizzate che, come sappiamo, molto spesso sono costrette a cercare lavoro fuori dal nostro Paese. Attualmente, invece, sembra che le imprese preferiscano rinunciare a lavorare con le PA. L’efficientamento energetico, comunque, costituisce soltanto la punta dell’iceberg. Chi non ha mai sentito parlare di Smart City, “le città intelligenti”? Il prossimo futuro pone come sfida principale la costruzione di città in grado di conciliare il benessere e il miglioramento della qualità della vita dei cittadini con il rispetto dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile, ma calare questi concetti nella realtà italiana sembra quasi un’idea fantascientifica. Un esempio per tutti, nel modello della Smart City è possibile tenere sotto controllo i flussi di traffico così da indirizzare gli automobilisti verso i percorsi più veloci, con conseguente risparmio di tempo e ridotte emissioni di CO2. Il nostro Paese rivendica un ruolo centrale in Europa e nel mondo, ma si dimentica che il primo modo per essere competitivi
è stare al passo con i tempi sotto tutti i punti di vista. Forse è arrivato il momento di lamentarci meno, e fare di più.