di Leonardo Esposito-
Onorevole Ronchi, quando ricevette l’incarico al ministero, nel ’96, il mondo era molto diverso. Quali erano le sfide in tema d’ambiente che un governo doveva fronteggiare?
Nel 1996, teneva banco il tema del riordino normativo in materia di rifiuti: l’Italia usciva da un’emergenza in varie regioni, Campania, Calabria, Sicilia, e il sistema era molto arretrato. Oggi, invece, parliamo di economia circolare: stiamo ragionando di cose molto diverse, e molto più avanzate. Allora, addirittura, erano finite le discariche. Il problema coinvolgeva anche i rifiuti industriali: per farvi fronte, pensi, fu reiterato diciassette volte il medesimo decreto-legge (cosa che portò ad una famosa pronuncia della consulta sul punto, che sancì il divieto di reiterazione dei decreti non convertiti). La gestione dei rifiuti si basava su un modello arretrato: l’87% finiva in discarica, il riciclo era agli albori, così come le relative filiere. All’epoca, inoltre, era molto sentita la questione dei parchi nazionali. Erano pochi, grandi parchi storici: Stelvio, Gran Paradiso, il Parco nazionale d’Abruzzo (oggi sono 25, e si sviluppano ampiamente tra Alpi e Appennini, n.d.r.). Si parlava, però, già di clima e di energie rinnovabili: era aperto il dibattito sulle centrali a carbone e sul nucleare, mentre il contesto delle politiche energetiche era molto diverso da quello odierno. Era fortemente sentito anche il tema delle bonifiche.
Oggi, invece, sono sempre più importanti la Green Economy e l’Economia Circolare: cosa sono?
Di Green Economy abbiamo una definizione consolidata, che si è sviluppata da circa un decennio a questa parte. È l’economia dello sviluppo sostenibile, che si sviluppa nell’ambito di uno spazio ecologico limitato, in particolare affrontando la resilienza della biosfera (ivi compreso il tema della crisi climatica), utilizzando le risorse in maniera più efficiente e quindi circolare, puntando su un benessere di migliore qualità e inclusivo. La definizione di Economia Circolare, invece, è più recente: è l’economia che punta a superare il modello lineare, riducendo il prelievo di risorse naturali, prolungandone l’uso e impiegandole efficientemente nei cicli di produzione e di consumo, minimizzando lo smaltimento finale dei rifiuti e, quindi, massimizzando il riciclo, secondo un modello “dalla culla alla culla” (e cioè, rendendo i materiali già utilizzati nuove materie prime, n.d.r.).
Come si rapportano, questi modelli, rispetto a quelli attuali? Sono modelli sostenibili anche dal punto di vista economico e produttivo, oltre che ambientale?
Utilizzerei piuttosto il termine “prevalenti”. Quelle di Green Economy sono attività che si svolgono già oggi, e in misura sempre maggiore. Le imprese core green, che producono servizi di grande valore ambientale (riciclo, sfruttamento di energie rinnovabili, mobilità elettrica ed ecologica), in Europa sono circa il 24-25% del totale. Abbiamo anche numerose imprese go green, che hanno scelto modelli di business di elevata qualità ecologica. La Green Economy, dunque, è un processo in atto, ancorché non prevalente, per ora. Stesso dicasi per l’Economia Circolare, che è un modello già avviato. In Italia, infatti, ricicliamo il 77% dei rifiuti industriali, mentre per quelli urbani il tasso di riciclo effettivo è di circa il 44%. A livello produttivo, questi modelli aumentano sicuramente la produttività delle risorse naturali. Nel settore del riciclo abbiamo 7300 impianti nel nostro paese, che diventano centinaia di migliaia in quello delle energie rinnovabili. Questi settori sono in grado di produrre una grande ricchezza. Non sono idee: è un processo economico in corso.
Quale crede che sia l’ostacolo principale alla piena adozione di queste politiche? Economico, politico, o addirittura sociale?
Guardando, in una prospettiva ampia, alla Green Economy – che include anche l’Economia Circolare-, il problema principale è il ritardo nelle politiche climatiche: le emissioni di gas serra, nonostante tutto, non calano quanto dovuto nel nostro paese (ed anzi, aumentano su scala globale). Quindi, uno dei fattori limitanti è l’inadeguatezza delle policies. Il secondo fattore limitante sono le politiche fiscali e di incentivi, che incoraggiano le produzioni lineari, con elevato consumo di energia e combustibile fossile. Anzi, ci sono incentivi negativi per la green economy e per l’economia circolare: manca una fiscalità che permetta di internalizzare i vantaggi di questi modelli.
Qual è la situazione italiana? Il trend green è in crescita o decrescita?
L’Italia, a livello comparativo europeo, è in buona posizione nel campo dell’economia circolare, poiché tende ad utilizzare in maniera efficiente le risorse, con una produttività dei materiali mediamente elevata. Tuttavia, ha difficoltà, com’è noto, a livello finanziario: dal sistema bancario al debito pubblico, e c’è un basso livello di investimento nell’innovazione. Ciò fa risentire, ovviamente, settori altamente innovativi e dinamici come la Green Economy. Spesso, inoltre, si accumulano anche ritardi di tipo normativo e amministrativo: sembra paradossale, ma per autorizzare nuovi impianti ci vogliono anni. Abbiamo anche ritardi nella normativa dell’end of waste (il riciclo di materiali esausti, in modo da renderli nuovamente materie prime, n.d.r.): si pensi che lo scorso febbraio, il Consiglio di Stato ha sostanzialmente sancito l’incompetenza delle regioni a dettare norme in materia, causando blocchi delle autorizzazioni già rilasciate e di quelle ancora in corso di rilascio.
Crede che questi modelli possano ritenersi, se pienamente attuati, un punto d’arrivo, o potrebbe essere fatto di più?
Essendo un processo in corso, il problema è quello delle due velocità. Quella rapida, della crisi ecologica, climatica e della biodiversità, che sono sfide globali, e quella più lenta della transizione ad un’economia più sostenibile. Il grande problema è la differenza di velocità di questi due mondi. Il futuro richiede impegno e dedizione: le possibilità di colmare il gap ci sono, sia economiche che tecnologiche e gestionali. Nessun problema è insormontabile, ma serve una seria volontà. Ad oggi, però, è difficile fare pronostici