Quartiere e squadra, l’identità del St. Pauli (FC)

di Michele Enrico Montesano-

Quando nel 1963 in Germania istituirono la Bundesliga, il St. Pauli era una normale squadra di calcio, seguita da dei tifosi normali, che giocava normalmente in uno stadio… normale. O quasi. Perché nel giro di vent’anni, il St. Pauli diventerà tutto fuorché un normale (e semplice) club di calcio. Par capire il perché di questa trasformazione – il St. Pauli contava duemila tifosi negli anni ’60 e circa trentamila negli anni ’80 – dobbiamo fare delle considerazioni sulla città di Amburgo e, in particolar modo, del quartiere St. Pauli. Sankt Pauli è il fulcro del commercio via mare della città anseatica, dagli anni ’70 però viene progressivamente abbandonato, le industrie si spostano ad ovest dove il fondale è più profondo. Così gli edifici sfitti lungo la Hafenstrasse (hafen in lingua tedesca sta per porto) finiscono nel piano Perlenkette, che consisteva nel riqualificare la zona portuale dismessa. Gli edifici appartengono alla SAGA, una società municipale gestrice degli immobili lungo il fiume, che decide di demolirli. O meglio, avrebbe voluto, perché negli edifici cominciano a insediarsi abusivamente, operai, studenti, anarchici, immigrati, famiglie che non possono permettersi un affitto. Tutti insieme danno vita a un progetto abitativo sociale, istituiscono una mensa popolare (Volksküche) e chiedono un’indipendenza amministrativa. La permanenza negli stabili non è facile, devono combattere per anni contro gli assalti della polizia e dei neonazisti, ma hanno il pieno appoggio del quartiere. Sono in dodicimila a manifestare nel 1987, tanto che tutti devono arrendersi. Gli occupanti della Hafenstrasse hanno vinto. Niente più sgomberi. A meno di 500 metri dalla Hafenstrasse si trova la Reeperbahn, la celebre via della perdizione amburghese. Qui ci sono bordelli, sexy shop, casinò, discoteche, teatri, musei erotici, e poco distante da tutto questo, anche uno stadio. Il Millerntor, dove ogni domenica scende in campo l’unica squadra al mondo ad avere una maglietta marrone. Inusuale. Come i suoi tifosi. Prostitute, anarchici, punk, tutti a cantare a squarciagola “St. Pauli”, mentre sventolano il Jolly Roger (l’emblema dei pirati). Il primo ad introdurlo allo stadio proprio nel 1987 fu Doc Mabuse “in segno di libertà e resistenza alle autorità”. Il St. Pauli è diventato negli anni il simbolo delle lotte contro il razzismo e il capitalismo sfrenato, è lo stato d’animo di un quartiere. Fabio Morena, tedesco di origini salernitane e capitano storico del St. Pauli – più di duecentotrenta presenze – ha dichiarato: “Portiamo ogni nuovo compagno a fare il giro delle strade, a salutare la gente nei bar, spiegando qual è la realtà sociale in cui viviamo, qui ci sono immigrati di tutto il mondo e l’unica cosa che li unisce siamo noi. Di questo noi calciatori ne siamo consapevoli”. Grazie a questo senso di appartenenza la squadra si è salvata dal fallimento, sfiorato all’inizio del nuovo millennio. Nel 2003, per far fronte alla crisi economica, venne eletto come presidente Corny Littman, gay dichiarato e direttore artistico del teatro Schmidt

che grazie alle sue idee vincenti, riuscì a risollevare le sorti del club. Furono vendute centocinquantamila magliette con scritto retter (salvatore), la birra Astra di Amburgo per settimane ha devoluto cinquanta centesimi al St. Pauli per ogni pinta consumata nel quartiere. Nel 2009 il congresso dei soci sancisce cinque direttive: 1. Il St. Pauli FC è una società, che attraverso i suoi membri, viene influenzata sia direttamente che indirettamente dai cambiamenti in ambito politico, culturale e sociale.

2. Il St. Pauli FC è consapevole della responsabilità sociale e di cosa implica, rappresentando gli interessi dei suoi membri, del personale e dei fan non solo nella sfera sportiva.

3. Il St. Pauli FC è il club di un particolare quartiere della città, ed è a questo che deve la sua identità. Ciò conferisce una responsabilità sociale e politica in relazione al distretto e alle persone che ci vivono.

4. Il St. Pauli FC simboleggia l’autenticità sportiva e questo rende possibile per le persone identificarsi con il club indipendentemente dai successi sul campo.

5. La tolleranza e il rispetto nelle relazioni umane reciproche sono importanti pilastri della filosofia del St. Pauli.

Firmato, una sparuta ciurma di pirati nel mare del capitalismo. Molto più di un normale club di calcio.

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