Da Rovigo a Lussemburgo, il calcio e l’Unione Europea.

Di Michele Enrico Montesano-

Italia. Estate del ’76. Nelle radio di milioni di italiani Gianni Bella cantava “Non si può morire dentro”, e probabilmente la cantava anche in quella dell’allora presidente del Rovigo Calcio, Mario Mantero, il quale aveva incaricato l’osservatore Gaetano Donà di trovare dei giocatori stranieri disposti a giocare nel Rovigo. Donà pubblicò immediatamente un annuncio su un giornale sportivo in Belgio, ma quando si presentò qualche offerta sul tavolo del presidente, questi la rifiutò. E rifiutò anche di rimborsare le spese effettuate da Donà per l’annuncio. In Italia vigeva infatti il cosiddetto “blocco delle frontiere”, disciplinato dagli articoli 16 e 28 del “Regolamento organico della Federazione Italiana Giuoco Calcio” che non consentiva di tesserare giocatori stranieri. Mantero rimproverava a Donà di aver agito prematuramente. Secondo il presidente, egli avrebbe dovuto aspettare la fine del “blocco”, di cui si vociferava, ma che fu abolito solamente 4 anni dopo. Con la possibilità di tesserarne uno, esteso a due dopo la vittoria del mondiale in Spagna. Donà portò la questione al giudice conciliatore di Rovigo, che in via pregiudiziale, interrogò la Corte di Giustizia Europea. Donà sosteneva che le regole federali violavano gli articoli 7, 48 e 59 del Trattato CEE, riguardanti la libera circolazione dei lavoratori subordinati e dei servizi. La Corte ha stabilito che la partica sportiva diventa di competenza del diritto comunitario qualora rappresenti un’attività economica. I calciatori, professionisti e semi-professionisti di uno stato membro possono dunque fruire delle norme comunitarie sulla libera circolazione delle persone e dei servizi. Essi svolgono difatti un lavoro subordinato o effettuano una prestazione di servizi retribuita, attività entrambe di natura economica. La Corte ha conseguentemente dichiarato illegittime le norme della FIGC perché discriminatorie in base alla cittadinanza. Tuttavia, ha elencato una serie di motivi non economici bensì prettamente sportivi per i quali si poteva concedere una deroga e quindi il mantenimento delle stesse. Anche se non ha prodotto i risultati sperati, il caso Donà assume rilevanza, perché per la prima volta in 25 anni di Unione Europea, essa appare a tutela dello sport, seppur per vie economiche. Molti autori ritengono che dietro l’atteggiamento più che curioso di Mantero e Donà ci sia in realtà il preciso intento di far esprimere un parare alla Corte sulle norme della FIGC. La causa Gaetano Donà v. Mario Mantero sarà riutilizzata dalla

Corte vent’anni dopo per la sentenza Bosman. Sentenza che cambierà per sempre la fisionomia dello sport più popolare e amato d’Europa.

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