Vorrei parlare del problema della violenza femminile da uomo, nei limiti che la mia posizione può farmi comprendere, quindi lettrici sarete libere di correggermi se dovessi riportare scorrettezze. A voi lettori invece, se questa cosa non vi riguarda abbiate l’accortezza di sapere che non rivolgo a voi, se vi riguarda invece mi auguro che possa essere uno spunto di riflessione.
La violenza sulle donne è un problema. Siamo tutti d’accordo nell’identificare la violenza fisica (stupri, omicidi, violenze o percosse) come violenza. Cominciamo ad essere meno d’accordo quando la definizione di violenza si declina come violenza psicologica o molestie. Questo perché, mentre i primi casi sono considerati reati nei confronti della legge, i secondi tendono ad essere sbrigativamente accantonati con un ‘’Eh ma era solo una battuta fatti una risata’’. A parti invertite, se un ragazzo dicesse ad un altro ragazzo: “Ao anvedi che chiappe”, verrebbe sbattuto al muro.
La violenza psicologica è dolorosa e le conseguenze che ne derivano sono tragiche. La manipolazione mentale, il gaslighting, il far sentire inadeguati sono dei fenomeni frequentissimi nelle relazioni e le donne ne sono spesso colpite. So benissimo che della violenza, specialmente psicologica, sono vittima anche gli uomini, in questa sede però vi chiedo di non fare polemica in merito perché il tema è “come si sente una donna”.
I commenti, per quanto strano possa sembrare, hanno un forte impatto sulle persone, più o meno forte in base alla propria personalità e vissuto. Quello che a noi può sembrare insignificante può essere un macigno per altri. Se un insegnante oppure un genitore ti ripete continuamente di essere un fallito, potresti finire anche per crederci.
Uno dei fattori che maggiormente ci rende vulnerabili a questo tipo di violenza è la sensazione di impotenza che abbiamo nei suoi confronti, più ci sentiamo in grado di gestire l’evento esterno e più è probabile che non ne risulti alcun tipo di trauma.
Determinati commenti, fatti ad una ragazza che verosimilmente si trova in una posizione di impotenza (anche per il solo fatto di essere più debole fisicamente) possono avere delle conseguenze, causare dolore ed insicurezze che si ripercuoteranno sul suo futuro, con il rischio che diventino “profezie che si auto avverano”. È più probabile che io diventi un fallito se qualcuno me lo ripete continuamente, così come è più probabile che una ragazza si senta in colpa ad affrontare la sua sessualità (vedi il tabu della masturbazione femminile, oppure il fatto di darsi della zoccola tra ragazze se qualcuna si iscrive a Tinder) a forza di sentirsi dare della troia. Quindi i commenti, anche se stupidi, hanno un forte peso sulle altre persone.
“Pier ogni volta che torno a casa c’è il ragazzo del fruttivendolo che mi fa continuamente battute, non ce la faccio più”
“Quella via non la prendo mai, faccio sempre il giro lungo c’è quel carrozziere che mi fischia sempre”
“Pier non è che mi puoi riaccompagnare se torniamo più tardi? Sai non me la sento di fare la strada di casa da sola”
“Non ce la faccio più a prendere la metro ogni mattina, nella calca c’è sempre qualcuno che mi palpa”
Camminare per strada e percepire una sensazione di insicurezza è qualcosa a cui non sono abituato e che non vorrei mai sentire. Sono una persona a cui piace prendersi i suoi spazi, passeggiare la sera, andare un parco a guardare il cielo, e più ci rifletto e più mi accorgo che il senso di sicurezza che percepisco quando vado in giro è un privilegio. Indipendentemente da quello che indosso non ho problemi di sorta, posso apparire strano, ma per il mio comportamento, non per la mia identità.
Un maschio non ha bisogno di essere riaccompagnato a casa la sera, non deve avere qualcuno che lo protegga quando va a ballare, può permettersi di andare con una camicia con i peli del petto di fuori (semmai ti danno del coatto, ma non sei insultato per il fatto di essere uomo) e nessuno si permetterebbe mai di dire che ha raggiunto una determinata posizione perché ha effettuato prestazioni sessuali.
Ho notato come uno dei problemi maggiori di quando si parla di questo tipo di argomenti è la retorica che ne è alla base, i dati da cui si parte e come vengono interpretati per sminuire o ingigantire il problema. Per questa volta quindi metteremo da parte questi dati, perché il lavoro da fare non è di stabilire se una cosa è grave o meno, giusta o sbagliata, ma capire come si sentiremmo se fossimo nei panni dell’altra persona e se, dopo averlo capito reputiamo sia il caso di continuare ad avere un determinato atteggiamento. Inoltre prendere coscienza o ammettere questi fatti non vuol dire sminuire o non considerare i numerosi e altrettanto gravi problemi di cui sono vittima gli uomini. Il fatto che gli uomini subiscano abusi non esclude che le donne non ne ricevano e viceversa, abusi diversi certamente. Tuttavia ognuno deve fare la sua parte e sforzarsi a capire non solo il suo lato, ma immedesimarsi nell’altro, altrimenti è un dialogo tra due muri.
“Si certo ci vediamo stasera! Però mi porto il cambio che devo prendere la metro e non posso andarci vestita così”
“No vabbe ma ti pare, per andare a ballare a testaccio mica posso andare da sola”
Spesso alle donne è richiesto di adattare il loro atteggiamento al contesto. Anche mia nonna una volta parlando con una mia amica mi disse “mi è stato insegnato ad imparare ad adattarmi, va da sé che se prendo la metro o vado in un determinato posto non mi vesto in quel modo”. Adattarsi è una caratteristica fondamentale nella vita, ma in un paese civile del primo mondo, l’adattamento non può riguardare unicamente l’appartenenza ad un sesso o un orientamento sessuale.
Non è mettendo questo su carta questo concetto che porterò il sicuro una ragazza che con coraggio decide di vestirsi comunque in una certa maniera andando incontro ai suoi rischi, ma credo che una persona del genere debba ricevere ammirazione e rispetto, non ostruzione. Non posso sentire frasi come quella di mia madre da miei coetanei. Noi giovani dobbiamo ancora dare il nostro contributo alla società e tra vent’anni anni saremo noi la società stessa, quello che accadrà nel futuro dipende dalle idee che abbiamo e condividiamo adesso.
“Non so più se andare in America, tizio non è molto d’accordo, poi a Latina non mi trovo così male”
“No Pier, non mi va di parlarne, ho avuto una brutta esperienza”
Troppe volte ho sentito di ragazze che rinunciano a partire, ad un lavoro o ad un sogno per assecondare la possessività di un ragazzo. Anche gli uomini lo fanno, ma la differenza è che un uomo non rinuncia perché sminuito, o almeno non con una pari frequenza.
Lo scopo non deve essere “ottenere” una donna, ma condividere sé stessi ed il proprio tempo con una donna. Lo scopo di una relazione non deve essere prevaricare o imporsi sull’altro, ma amare l’identità dell’altra persona e, se la amiamo veramente, lasciarla andare quando quando è finita, perché è la sua scelta, la sua vita e la sua felicità.
Dobbiamo chiederci come reagiremmo se facessero la stessa cosa a noi, come reagirebbe un ragazzo etero se in discoteca gli palassero il pacco? Come reagirebbe se gli arrivasse la foto di un pene in chat? Come reagirebbe se un suo amico cominciasse a spogliarsi da ubriaco e a provarci? Se venisse fischiato per strada? Ci piacerebbe avere come risposta “ehh ma che vuoi che sia, sono fatti così dai” “Che pezzo di legno che sei”.
A me girerebbero non poco, oltre al danno pure la beffa.
L’oggettivazione della donna ha infatti questa terribile conseguenza: in quanto oggetto, la possiedo. “Possedere” qualcosa, considerarla tua, è il più grande atto di egoismo che si possa compiere nei confronti di un altro essere umano; è l’antitesi di amare. La violenza fisica è l’atto estremo di questo possesso. Se non trattassimo l’altra persona come un oggetto, se imparassimo ad amare i suoi sogni, se capissimo i suoi sentimenti, non ci verrebbe mai in mente di alzare le mani nei suoi confronti. Invece la trattiamo come una televisone rotta, dandole botte pensando di aggiustarla. Il problema di fondo dei social network è che proponendo continuamente immagini di modelle veicolano questa mercificazione. Trattare un essere umano come una merce lo svuota della sua individualità, rendendo più facilmente tollerabili determinati comportamenti.
Noi uomini per primi dobbiamo avere il coraggio di vincere gli stereotipi che ci caratterizzano. Dimostrarci sensibili quando qualcosa ci tocca, non aver paura di dimostrarci deboli e di ammettere che qualcosa non va, di dire che non ci sentiamo in realtà così forti ma che ci sentiamo soli, di piangere, di ammettere che ci possono piacere delle cose “femminili” e che in fondo anche noi facciamo gossip e che anche a noi possono piacere prodotti per la pelle.
La violenza mentale fa male come quella fisica. Una depressione acuta può essere più letale di un’amputazione, andare dallo psicologo non vuol dire essere pazzi, piangere non vuol dire essere deboli, rispettare una ragazza non vuol dire essere gay (senza offesa chiaramente).
La più grande violenza che viene fatta, secondo me, nei confronti degli uomini è proprio imprigionarli in questo mondo di stereotipi, nei quali mettersi in dubbio è una debolezza, che non ci permetterà mai di capire a fondo una ragazza perché, come abbiamo visto vive in un mondo che mette invece continuamente in dubbio la sua identità. Quindi mi sentirei di dire agli uomini che stanno leggendo che “Il coraggio non è non avere paura, ma essere terrorizzati e fare comunque la scelta giusta”*.
Il vero coraggio sta nell’ammettere che anche noi siamo deboli, perché fa parte dell’essere umani, e che se abbiamo problemi a relazionarci con le ragazze forse è perché non ci siamo mai sforzati a capirle, non perché sono stronze.
Splendidi amici mi hanno insegnato che non c’è condizione fisica, altezza o malattia che ti possa impedire di trovare la propria metà, se solo cominciassimo ad ascoltarci. Se ce l’hanno fatta loro, ce la potete fare pure voi.
Questo discorso si estende a ogni tipo di discriminazione di genere: omosessualità, bisex, transessuali (disumanizzati più chi chiunque altro), origine e colore della pelle.
*Nelson Mandela