Apologia del Baleniere

La controversa mistica della caccia alle balene.

Perché fare un’apologia ad un mestiere che è comunemente considerato obsoleto e spesso barbaro?  La risposta è abbastanza semplice e si evince dal tema del numero, cioè la volontà di andare oltre gli schemi del politically correct  e riflettere sulle nuove censure.

Mi rendo conto che il mio pezzo potrebbe urtare la sensibilità animalista di molta gente, ma ritengo che gli unici soggetti che abbiano diritto di offendersi siano soltanto i cetacei cacciati, che, tra le loro straordinarie capacità, non risultano possedere un giornale in cui controbattere le miei opinioni.

L’uomo ha avuto sempre nei confronti delle creature marine una sorta di fascinazione, come dimostrato dalle varie mitologie, dalla Scandinavia all’Oceania, passando per il celebre libro di Giona nella Bibbia, dove si parla del Leviatano, figura che tutti conosciamo anche per la simbologia fatta da Hobbes. La creatura biblica diventa, nell’opera del filosofo inglese, una rappresentazione dello Stato assolutista. Tuttavia è solo nel Diciannovesimo secolo che inizia la vera epopea della caccia alle Balene, descritta nel capolavoro della letteratura americana: “Moby Dick”, di Herman Melville. Nella Rivoluzione industriale era necessario reperire quantità enormi di olio di balena, per soddisfare le esigenze di una popolazione occidentale in piena fase di decollo demografico e conquista coloniale.

In questa fase, quello che prima era quasi una sfida titanica tra l’uomo e il mare divenne una vera e propria attività industriale, organizzata ed efficiente. Il rischio, però, rimaneva sempre elevato, poiché la caccia durava mesi in pieno oceano, in balia dei fenomeni atmosferici e di tutte le avversità della navigazione che si svolge spesso in prossimità dei Poli, in acque gelide e pericolose.

È utile ribadirlo: il coraggio dei balenieri va riconosciuto ed io lo valuto in maniera positiva. L’uomo ha nella sua indole la sfacciataggine di andare oltre i propri limiti e se questo porta spesso a disastri, è anche vero che senza questa faccia tosta forse io non starei a digitare con un computer e molte innovazioni non sarebbero state apportate.

I balenieri hanno avuto un ruolo nella storia dello sviluppo industriale, ma soprattutto raffigurano al meglio quell’Eroico Furor, di cui parlava Giordano Bruno, ossia la forza di osare e di adoperare il cervello e le mani per vincere le avversità: pensiero e azione.

La mistica di questa caccia sta proprio nell’osare contro quell’elemento che ricopre i 2/3 del nostro Pianeta, una sfida spesso suicida, ma appagante. Qui la controversia: troviamo mistico ciò che ci può annichilire.

Ancora oggi è praticata la caccia alle balene, dai Giapponesi e da alcune nazioni scandinave, suscitando feroci critiche e anche azioni di protesta da parte degli ambientalisti e animalisti. Non sarebbe onesto affermare che la caccia alle balene sia un’attività che giovi ai cetacei o che sia un necessario contributo alla scienza. La Corte dell’Aja, infatti, ha dichiarato non legale la scusa della ricerca scientifica, addotta dai Giapponesi, per giustificare la loro attività venatoria. Non è possibile negare che gli animali soffrano: i cetacei sono braccati e uccisi per le loro carni e il loro grasso con arpioni che sfondano loro organi o la scatola cranica. Le critiche di chi avversa la caccia alle balene non sono infondate, ma spesso si va oltre e si dipingono tutti i balenieri come responsabili della distruzione della Terra.

I veri cacciatori hanno bisogno delle prede, quindi non hanno interesse ad uccidere più di quanto serva loro, rischiando così di far estinguere la specie e perdere l’occasione di tramandare l’arte venatoria ai propri figli. La caccia in sé non è che un’attività praticata anche da molti animali, fino a quando non diviene una fase di una catena di montaggio, come è successo per la caccia alle balene, piegando i ritmi naturali alle esigenze di mercato.

Non trovo giusto demonizzare i balenieri, ritraendoli come complici della distruzione di questo Pianeta, poiché i danni da loro provocati al mare non sono neanche paragonabili a quelli provocati dall’inquinamento e soprattutto dalla plastica. Prima di puntare il dito contro qualcuno ed etichettarlo come distruttore del genere umano sarebbe utile analizzare con attenzione il contesto.

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