Durante quest’estate, nel mio girare tra i canali televisivi nei momenti di relax, mi sono imbattuta in una serie tv che mi ha subito colpita: “Il complotto contro l’America”. Tratta dall’omonimo romanzo ucronico di Philip Roth, questa serie è ambientata negli Stati Uniti d’America, in particolare a Newark, nel New Jersey; qui l’autore immagina un futuro alternativo, in cui a vincere le elezioni presidenziali del 1940 non è il democratico Franklin Delano Roosevelt, ma Charles Lindbergh, un aviatore con simpatie nazionalsocialiste, conosciuto per aver trasvolato in solitaria l’Oceano Atlantico. Con il suo carisma e la sua determinazione, Lindbergh propone una politica neutralista, ben riassunta dallo slogan “America First”, che viene da subito condivisa dalla maggioranza dei cittadini americani. Ma tutto questo nascondeva anche un clima di intolleranza e di odio nei confronti delle minoranze, in particolar modo verso gli ebrei. Protagonisti di questa storia sono i Levin, una famiglia di quattro persone composta dal padre Herman, assicuratore della Metropolitan Life, la madre Bess e i figli Sandy e Philip. Quest’ultimo, in particolare, percepisce sempre di più l’aria di tensione che si respira, arrivando perfino a sognare un album con soli francobolli del Terzo Reich, associando a ciò la presenza dei nazisti negli Stati Uniti. Dopo la sua vittoria, Lindbergh firma un patto di non belligeranza con la Germania e il Giappone, garantendo così la neutralità americana nel conflitto in atto in Europa, mentre sul fronte interno, appoggiato anche dal rabbino conservatore Lionel Bergensdorf, sponsorizza due progetti: il primo, intitolato “Just Folks”, si ripropone di integrare i ragazzi ebrei nella società americana, così come accaduto al primogenito Sandy, il quale, mandato in una fattoria del Kentucky, è poi diventato portavoce del progetto; il secondo, “Homestead Act”, ha come obiettivo quello di mandare le famiglie ebraiche negli Stati del sud, molto più conservatori rispetto agli Stati del nord, così come è accaduto a Seldon, migliore amico di Philip e suo vicino di casa, la cui madre è rimasta vittima della violenza del Ku Klux Klan. Così, gli ebrei perdono la fiducia nella loro patria e nei suoi ideali di libertà e di uguaglianza, a tal punto che Alvin, cugino di Sandy e Philip, decide di arruolarsi nell’esercito canadese, in modo da combattere contro i tedeschi, ma rimane ferito durante una missione e viene rimandato a casa. Nel frattempo, la violenza aumenta sempre di più, raggiungendo il suo culmine all’indomani dell’uccisione di Walter Minchell, un giornalista il cui programma radiofonico era molto critico nei confronti del governo e delle politiche da questo adottate. Improvvisamente, Lindbergh scompare con il suo aereo e il vicepresidente Burton Wheeler, nominato presidente ad interim, alimenta il clima di odio e intolleranza finché Anne Lindbergh, moglie del presidente scomparso, in un discorso radiofonico, chiede al Congresso di destituire Wheeler e di indire nuove elezioni, in modo da porre fine alle violenze. La sua richiesta viene ascoltata e vi sono nuove elezioni, dove la vittoria di Roosevelt sembra essere sicura. Infine, si scopre il motivo della scomparsa di Lindbergh: i nazisti avevano rapito suo figlio, tenendolo sotto ricatto e imponendogli di adottare politiche neutraliste e antisemite; così, si pensa sia stato fatto sparire, perché le misure da lui adottate erano meno rigide rispetto a quelle richieste dai tedeschi. Da questa serie tv, che vi consiglio vivamente, viene rappresentato uno scenario diverso, in cui gli Stati Uniti appaiono isolati e disinteressati da quanto accade nel resto del mondo e in cui a prevalere è l’intolleranza nei confronti delle minoranze. Inoltre, i messaggi e gli slogan che vengono ripetuti in ogni episodio sembrano invitarci a porre attenzione a quanto sta accadendo intorno a noi, poiché una storia simile a questa potrebbe verificarsi nel futuro.