Soul: la recensione

Com’è possibile produrre film da più di vent’anni e superarsi ogni volta? Ce lo spiega Pixar. Soul è l’ennesimo tassello ben riuscito di una produzione cinematografica che, salvo pochissime eccezioni, ha fatto della genialità un marchio di fabbrica.

Parlare di questo film non è infatti semplice, si potrebbero passare giorni interi a riflettere su come impostare una recensione, vista l’infinità di tematiche che tratta. Da una parte si potrebbe effettuare un’analisi sui significati delle varie scene, dall’altra si potrebbe discutere per ore sulle emozioni che la pellicola targata Pixar trasmette. Qualunque sia l’approccio che si vuole adottare e qualunque sia l’opinione su questa pellicola, credo che discutere di Soul sia un dovere: in un anno drammatico come il 2020, in cui le riflessioni sulla vita e sulla morte sono state all’ordine del giorno, Pete Docter ci propone infiniti spunti per chiarire la marea di pensieri che hanno sovrastato il nostro cervello in questi mesi.

Perché vivere in un mondo in cui esiste la morte? È questa la domanda principale a cui Pete Docter e i protagonisti cercano di rispondere e ci arriveranno attraverso un percorso che si colloca ben lontano dal solito cliché del moralismo hollywoodiano. Secondo il regista siamo infatti legati alla vita per il solo fatto di essere umani, e dal momento in cui veniamo al mondo, possediamo anche una dose innata di coraggio e vitalità. Il viaggio esistenziale del jazzista Joe Gardner si colloca così in un mondo in cui una filosofia che regna sovrana funge da strumento per arrivare a delle conclusioni che negli ultimi anni hanno preso piede unicamente con odiose frasi fatte. Soul entra, di conseguenza, in un vero e proprio paradosso in cui attraverso gli apparenti limiti di una produzione destinata ai bambini, si propone in realtà un racconto che stupisce per la sua complessità.

Il concetto dell’anima che viaggia “nell’oltremondo” diventa l’escamotage per riflettere sul senso dell’esistenza. Così Pete Docter rifiuta il concetto Lockiano della tabula rasa e propone una meta-realtà in cui si formano le peculiarità dell’anima: non soltanto l’essere umano è frutto della trascendenza, ma possiede anche un legame con quest’ultima. Siamo quindi davanti a un film più impegnato rispetto ai precedenti della Pixar e ciò conferma una direzione che già sembrava intrapresa ai tempi di Coco e Inside Out, ovvero quella di proporre lavori che siano solo in parte destinati al pubblico dei più piccoli. Si fa infatti fatica a credere che Soul possa essere destinato ai bambini, perché presenta delle caratteristiche che accentuano la destinazione elitaria di questa pellicola.

Lungi dall’affermare che chi non abbia gradito questo film sia uno stolto, è tuttavia innegabile che per comprenderlo a pieno bisogna allontanarsi da una visione totalmente passiva. Possiamo anche dire che Pete Docter dimostra di conoscere bene le potenzialità dell’animazione. Dal punto di vista visivo infatti il film è ineccepibile e tutto avanza con un’andatura perfetta. Una grandiosa colonna sonora non si limita a commuovere gli spettatori, ma detta il ritmo di un viaggio splendido nella sua forma. Così un’estetica fuori dal comune e carica di significato avvolge ogni fotogramma di questo film straordinario e regala quelle emozioni che ci si aspetta da un film targato Pixar. Sembra quasi esistere un legame con Inside Out, in cui la gioia, la rabbia, il disgusto, la tristezza e la paura erano i protagonisti di una pellicola che all’epoca stupì tutto il mondo: in questo caso non riappaiono gli amatissimi personaggi del film ambientato nella mente umana, ma il racconto stimola tutte queste emozioni.

In un mondo sempre più cinico e scontroso nei confronti dei valori, Soul ci ricorda che la vita è degna di essere vissuta in tutte sue sfaccettature. In attesa dei numerosi premi che vincerà tra qualche mese, invito tutti i lettori alla visione di questo ennesimo meraviglioso lavoro della Pixar.
VOTO: 9/10

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