di Francesco Castiello
Eccoci, siamo finalmente nel tanto atteso 2021, lo abbiamo ardentemente desiderato, lo abbiamo agognato quasi come se fosse un primo premio ad una competizione, auspicandoci ed illudendoci che una nuova cifra fosse in grado di cambiare il presente e che quella precedente fosse in grado di trascinare via con sé i problemi ed i “danni” -se così li possiamo definire-, che ha causato durante il suo corso. Purtroppo, non c’è alcun tipo di certezza che il nuovo anno possa guarire delle ferite lasciate del suo predecessore e sia al contempo portatore di innovazioni e soluzioni davvero rivoluzionarie.
Una delle numerose questioni che oggi affligge la nostra società e che necessita di un cambiamento è quella che da un po’ è diventata una vera e propria emergenza: l’immigrazione. Flussi di persone che scappano da guerre, rivolte civili, carestie o che sono semplicemente alla ricerca di una nuova vita, una vita migliore, una vita in cui ogni giorno è una sfida per “vivere” e non per “sopravvivere”.
L’Italia in materia di integrazione, ancora oggi ed ancora una volta si mostra estremamente carente, non avendo mai adottato un vero e proprio modello che favorisce l’inserimento degli stranieri nella nostra società. Non rifacendosi a modelli già affermati (come il “melting pot” britannico o il “lavoratore ospite” tedesco) l’Italia si è mossa con disorganicità e senza una strategia unitaria lasciando che si consolidassero dinamiche di discriminazione e segregazione.
Fulgido esempio di suddetta disorganizzazione sono i centri di accoglienza, dove l’integrazione si è da tempo ridotta ad interventi di tipo basici per i rifugiati ed i richiedenti asilo, ormai sempre più identificati nell’immaginario comune come “gli immigrati”; interventi che, una volta usciti dal sistema di accoglienza, non evitano il continuo formarsi di ghetti e piccole comunità emarginate, spesso usati dalla criminalità come pozzo da cui attingere manodopera in nero per l’Illegalità.
Se da un lato, dunque, ci sono paesi che, seppur con molte difficoltà, cercano di creare integrazione tra gli immigrati e gli autoctoni, altri invece appaiono molto più rigidi e sempre meno favorevoli a favorire suddetto processo di inserimento.
Non stiamo in questo caso parlando dei paesi dell’est Europa che più di una volta si sono dimostrati riluttanti in materia di immigrazione bensì di un paese situato molto più a Nord e che da sempre si è contraddistinto con i suoi coetanei scandinavi per la sua politica avanguardista e rivoluzionaria.
La Danimarca, con l’avvento del 2021, ha introdotto radicali modifiche in fatto di integrazione, quest’ultima guidata dal primo ministro Mette Frederiksen si è infatti prefissata come obiettivo il raggiungimento del traguardo “zero richiedenti asilo” nel Paese. La premier socialdemocratica ha di recente chiarito che il proprio esecutivo mirerà per tutto il 2021, a scoraggiare l’arrivo in territorio danese degli aspiranti rifugiati. A giustificazione di tale scelta, piuttosto brutale, la premier di sinistra ha presentato la necessità di preservare la stabilità e la coesione sociale nel Paese. La premier ha dunque fatto presente che nel 2020 in Danimarca sono stati ammessi appena 1,547 richiedenti asilo, la cifra più bassa dal 1998, a fronte invece dei 32,423 aspiranti rifugiati accolti nel Regno Unito, seppur quest’ultimo sia guidato dal conservatore Boris Johnson.
Il programma ad oggi attuato in Danimarca per l’integrazione appare come un processo di “assimilazione” forzata. Delle diverse proposte del cosiddetto “pacchetto ghetto”, così chiamato perché comprende una serie di leggi da applicare proprio nei quartieri difficili e con il maggior tasso di immigrati, la più discussa, seppur già approvata dal parlamento danese, è quella che prevede che tutti i bambini residenti in queste zone, dal compimento del primo anno di vita in poi, dovranno partecipare obbligatoriamente a corsi di 25 ore settimanali, in cui verranno insegnati la lingua ed i “valori danesi” comprese le tradizioni del Natale e della Pasqua. L’eventuale inosservanza dell’obbligo potrebbe tradursi ina una sospensione dei sussidi statali.
Altra novità è inoltre l’introduzione di una pena fino a 4 anni per chi costringerà i propri figli a tornare nel Paese d’origine per lunghi periodi, allo scopo di rieducarli. Queste sono solo alcune delle leggi adottate dal governo, in attesa di altre che verranno votate nel corso dell’anno.
Senza ombra di dubbio la politica danese, che appare senz’altro austera e rigorosa, è solo una delle tante modalità adottate dai paesi europei e no, in materia di immigrazione.
Non sappiamo con esattezza quale tra queste scelte possa effettivamente perseguire più pienamente l’obiettivo comune dell’integrazione, né quali tra queste possa garantire a questi popoli, già martoriati, di inserirsi finalmente nella società occidentale.
Possiamo solo auspicarci che, il tanto atteso 2021, possa essere davvero portare di vento di cambiamento, e possa far si che questi popoli in fuga trovino finalmente l’accoglienza che meritano e possano, attraverso processi di integrazione adeguati, essere visti per quello che sono davvero, cioè un valore aggiunto e non un peso per la nostra comunità.