Titanic: l’eredità di un melodramma moderno

Titanic è un film straordinario

Titanic è un film sopravvalutato

Quante volte abbiamo sentito queste frasi? Risulta quasi impossibile credere che qualcuno non si sia ancora imbattuto in queste due opinioni contrastanti, che da vent’anni continuano ad alimentare il dibattito sull’opera di James Cameron. L’idea di questo articolo parte proprio dalla percezione che il nuovo pubblico ha di questo racconto. Tutti siamo cresciuti con la storia d’amore di Jack e Rose, e in tanti non si fanno ancora una ragione sul fatto che, effettivamente, su quella maledetta porta ci entravano tutti e due. L’obiettivo di oggi non è, tuttavia, quello di riaccendere la miccia di una delle diatribe più infuocate degli ultimi vent’anni, ma quello di effettuare un’analisi critica di un film che ha segnato la cultura mondiale. Ho notato, infatti, che nel corso degli anni c’è stato un aumento di opinioni negative su questa pellicola, come se fosse un fardello da portare per le persone che lo hanno amato. C’è una percezione (errata a mio modo di vedere) che si ostina a considerare questo gioiello degli anni 90 una mera “storiella per ragazzini”: concordo sul fatto che Titanic sia anche una storiella per ragazzini, ma pensare che sia soltanto questo è errato. Facciamo però un po’ di ordine e partiamo dalla mia personalissima opinione: Titanic è il miglior melodramma degli anni 90. Non lo dico perché sono vittima di un falso ricordo, ma perché sono convinto che Cameron con quest’opera abbia davvero segnato la cultura popolare. Per apprezzarne appieno le qualità, dobbiamo precisare che quest’opera appartiene all’insieme delle pellicole ad altissimo budget. Purtroppo, questi tipi di lavoro rimangono spesso vittime di critiche negative ed è facile comprenderne il motivo: le aspettative sono alte. Proprio quest’attesa, caratterizzata da forti ansie e desideri, molto spesso si traduce in una giusta delusione e i motivi vanno ricercati nella portata del progetto. Nonostante, infatti, sembri quasi scontato collegare i soldi alla qualità, non sempre risulta essere così, perché la troupe che lavora a questi progetti deve spesso scontrarsi con un pubblico universale. Così la maggior parte delle volte, quando lo spettatore va in sala a vedere una nuova pellicola, si ritrova davanti a un condensato di confusione e imprecisione. Gli esempi nella storia del cinema sono tanti, da Avengers Endgame e Star Wars: Il risveglio della forza, fino ad arrivare a Jurassic World e Troy. Se mettiamo a confronto queste quattro pellicole, comprendiamo subito che il motivo dei fallimenti è sempre il medesimo: il rapporto con un target universale. Proprio l’amore per il cinema, che mi sprona a vedere film di ogni genere, mi fa affermare che Titanic è un film che si distingue, per qualità e intelligenza, tra le opere ad alto budget. James Cameron non si è infatti limitato ad assecondare il precario gusto della generazione Y, ma ha studiato a fondo il contesto socioculturale a cui la pellicola si rivolge. Da grande maestro di colossal qual è, il regista ha compreso subito la sottile linea che divide un’opera originale da una convenzionale. Egli era conoscenza dell’importanza dell’estetica nel cinema e quindi non ha avuto timore di mettere in scena un soggetto così sdoganato. Così se ci fermiamo un attimo a riflettere, arriviamo subito alla conclusione che quest’opera aveva tutti gli elementi per fallire: l’ennesima storia d’amore, gli ennesimi protagonisti belli e spavaldi, l’ennesimo contesto storico di inizio Novecento. Eppure, a distanza di vent’anni Titanic appare ancora come uno degli esperimenti più riusciti nella storia del cinema. Il regista infatti, essendo un professionista, si è subito preoccupato di trovare un modo per creare una realtà fiabesca all’interno di una tragedia. Come ci è riuscito? Andando a sfruttare al massimo le singole componenti del cinema, dalla musica alla fotografia, dalla regia alla sceneggiatura. Così lo spettatore, dopo i primi minuti di gelo in cui gli vengono mostrate le rovine del transatlantico (segno premonitore dell’amore perduto), viene subito catapultato nella realtà di quello che fu il Titanic. Il regista, tuttavia, non ripercorre fedelmente le orme di quel periodo storico (esistono i documentari per questo), bensì ricerca una bellezza al di fuori di ogni contesto. Eppure, l’obiettivo di Cameron non è quello di creare una bolla artistica nell’inferno, bensì quello di comunicare il romanticismo della vita di tutti giorni, quell’amore innato che funge da origine per tutte le cose. La macchina da presa ci accompagna tra le classi sociali, non perdendo mai quel filtro magico che accompagna lo spettatore per tutto il film: il regista vuole fotografare lo straordinario nell’ordinario, e anche l’ordinario nello straordinario. Così è fiabesco il mondo di Jack, caratterizzato sicuramente da dolore e povertà, ma anche da gente di cuore; fiabesco è anche il mondo di Rose, pieno di opportunismo e indifferenza, ma anche colmo di raffinatezza ed eleganza. Proprio l’incontro tra queste due realtà aiuta a percepire la tragedia allo stato puro, piena di dolore, ma anche liberatrice di pathos. Questi concetti, tuttavia, non sono stati inventati con Titanic, ma appartengono a una tradizione di Shakespeariana memoria. Cameron allora non fa altro che stare al passo col tempo, sfruttando la settima arte e l’immenso budget per dare vita a un melodramma della nostra generazione. In un mondo sempre più cinico, in cui tragedie come quella del Titanic sembrano all’ordine del giorno, il regista ci ricorda che non bisogna mai smettere di credere nell’amore, perché rappresenta l’unica ancora di salvezza e il solo modo di poter vedere le cose: non si può fuggire dal dolore, bisogna affrontarlo e combatterlo. Come si combatte però? Con l’arma più forte del mondo: l’amore. Le parole finali dell’anziana Rose (“ora sapete che c’era un uomo di nome Jack Dawson, e che lui mi ha salvata, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata”) fuoriescono quindi dal racconto, perché sono dirette a tutti noi. Jack Dawson non è soltanto una persona fisica, ma una speranza di redenzione, una torcia nel buio (“non ho niente di lui, vive solo nei miei ricordi”). James Cameron, in conclusione, si è fatto paladino di quei valori a cui una generazione non dovrebbe mai smettere di credere. Titanic non è entrato nella cultura popolare per la sua banalità o per la sua superficialità, ma perché ha saputo catturare qualcosa che solo le grandi opere sanno percepire: la bellezza.

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