Il cinema è malato. Ha qualche sintomo e cammina ancora, ma non riesce più a ritrovare se stesso. L’omologazione di massa ha, infatti, lasciato spazio a una mole di prodotti in serie, tutti uguali, ma apparentemente diversi. Assistiamo a una continua trasposizione della lotta tra bene e male, come se si trattasse davvero di un confine così definito: la moralità è giusta, l’immoralità è sbagliata, non c’è più spazio per l’analisi critica e lo spettatore deve arrivare a determinate conclusioni senza riflettere. In apparenza sembra una cosa buona, perché apre le porte a un mondo etico e rispettoso. La realtà, tuttavia, risulta essere ben diversa, perché la paura del male porta spesso a rinnegare l’analisi critica degli eventi. Il cinema moderno è frutto della rivoluzione digitale, mascherata da innovazione, ma pericolosa propaganda. Infatti, otteniamo ogni giorno una mole di informazioni, eppure ne approfondiamo poche. Diventa quasi inutile porre in essere critiche costruttive sulla realtà che ci circonda, perché tanto, in un modo o nell’altro, o non saranno comprese o saranno bocciate dai giornali. Ciò che è diverso disturba e lo spettatore ha sempre meno voglia di viaggiare fuori del proprio orticello convenzionale: viviamo nella realtà dei canoni digitali. Esistono, tuttavia, artisti che non si arrendono nel ricercare la spiritualità tipica di ogni opera. Questi sono gli estranei, i diversi, coloro che davvero hanno l’esigenza di esprimere un pensiero a 360°. L’obiettivo di oggi è quindi quello di consigliare sette film di registi folli, non convenzionali, che hanno avuto il coraggio di esprimersi per quello che sono. Cominciamo:
FERRO 3(Kim Ki-duk, 2004): iniziamo con una piccola precisazione: non esistono un Ferro 1 e un Ferro 2. Il film prende il nome dall’omonima mazza da golf presente nella storia e considerata da molti critici cinematografici come una metafora dell’oppressione sociale. Non sono però qui a parlarvi delle molteplici interpretazioni della pellicola, perché ci vorrebbe un articolo intero per elencarle tutte. Basti però sapere che Ferro 3 fotografa al meglio il malessere sociale, visto quasi come un limite alla pura redenzione. Kim Ki-duk, con la sua opera magna rompe ogni legame con il cinema occidentale ed esprime un’idea alquanto particolare. Il regista, infatti, si distacca dalla narrazione, sminuendo i dialoghi e ricercando l’immagine. Film del genere sono infiniti e a ogni visione regalano una riflessione diversa: oggi sono qui a dirvi una cosa, ma la prossima volta ne penserò un’altra. Resta, tuttavia, il fatto che il lungometraggio di Kim ki-duk ha contribuito alla diffusione del cinema orientale in tutto il mondo: una pietra miliare dei nostri tempi.
THE LIGHTHOUSE (Robert Eggers, 2019): Robert Eggers è uno dei registi più promettenti del panorama cinematografico mondiale, perché attraverso una filmografia che conta all’attivo soltanto due film (il bellissimo The Witch e questo The Lighthouse), ha già fatto intravedere un talento fuori dal comune. Così, seguendo un’atmosfera di Lovecraftiana memoria, lo spettatore viene catapultato in una storia somigliante a un incubo e che vede protagonisti i guardiani del faro Ephraim Winslow e Thomas Wake, interpretati da un sorprendente Robert Pattinson e da un magnifico William Dafoe. Il regista decide allora di esplorare i meandri della mente umana, estrapolandone le paure più nette. The Lighthouse si distingue però nel genere horror, perché attraverso una forte impostazione letteraria, sembra dar voce a quella letteratura dell’orrore che vive costantemente nell’immaginario collettivo. La pellicola in questione, diventa allora un’opera imperdibile per tutti coloro che sono cresciuti con i libri di Edgar Allan Poe e H.P Lovecraft: un racconto moderno firmato Robert Eggers.
DANCER IN THE DARK (Lars von Trier, 2000): quando si parla di Lars von Trier, viene subito in mente l’idea di un regista “scoppiato” e i suoi film sono spesso visti, da chi non li ha mai guardati, come una mera giostra di divertimento e follia. Di questo mi dispiace, perché credo che Lars von Trier sia uno dei più grandi registi viventi. Nessuno come lui riesce a trasporre l’atrocità sul grande schermo, attraverso una sfumatura unica nel suo genere. Ogni scena, infatti, non è mai lasciata al caso ed è ben lontana dalla sola immagine forte che ci si può aspettare. Il regista ha un grande rispetto nei confronti dei mali che affliggono questo mondo e non manca mai di raccontare il tutto con quell’atmosfera di grazia che lo contraddistingue. Dancer in the dark è forse la sua opera più riuscita e sicuramente rappresenta un buon riassunto del suo pensiero. Questo film, infatti, ripercorre le orme del musical, ma attraverso una modalità del tutto originale: Lars von Trier gira un “antimusical”. Così i pezzi cantati diventano una vera e propria fuga dalla realtà, un bisogno di speranza in un mondo che troppo spesso sembra non ascoltarci. La storia che vede protagonista Bjork, colpisce come un pugno nello stomaco e leverà il fiato a coloro che si accingeranno a guardare questa meraviglia. Dancer in the dark è un’opera grandiosa, oserei dire tra le più grandi, e non può mancare nella lista di chi, stufo della solita salsa, cerca qualcosa di diverso da guardare. Godetevi uno dei migliori film di questo secolo, godetevi Lars von Trier.
HEREDITARY (Ari Aster, 2018): ho detto poc’anzi che Robert Eggers è uno dei registi più promettenti in assoluto. Anche Ari Aster, però, fa parte di questa categoria e Hereditary ne è la conferma più assoluta. Il regista, infatti, ci propone uno degli horror più originali degli ultimi anni. Quando parlo di originalità, faccio riferimento al senso più puro del termine, perché questo film non ha nulla a che vedere con la convenzionale storia fatta di fantasmi e jumpscare. Così Ari Aster ci porta dentro un mondo che spaventa per la sua sincerità, dentro una realtà fatta di lutto, evocazioni e satanismo. Hereditary, inoltre, mescola l’orrore al thriller e regala una storia che non può non tenere lo spettatore incollato allo schermo. Forse l’horror è il genere più in voga tra i registi di talento e fare un tuffo in questo mondo è obbligatorio per tutti coloro che ricercano la bravura nel cinema dei giorni nostri. Una pellicola imperdibile!
IL SACRIFICIO DEL CERVO SACRO (Yorgos Lanthimos, 2017): molti conosceranno Lanthimos per essere il regista del film plurinominato agli oscar “La favorita”. Nonostante io abbia apprezzato questo lungometraggio, ho deciso di consigliarne un altro per un motivo: credo che Il sacrifico del cervo sacro sia l’opera più complessa e sincera di Lanthimos. La storia che vede protagonisti Colin Farrell e Nicole Kindman, infatti, risulta essere acuta e coinvolgente al tempo stesso. Nato come una libera rivisitazione in chiave moderna del mito di Ifigenia, la quale appunto fu sostituita sul punto di essere sacrificata da un “cervo sacro” per ordine di Artemide, questo film ne prende le distanze, annientando i valori che permettono al racconto greco di reggersi in piedi. Nel mondo di Lanthimos non c’è spazio per il coraggio di Ifigenia e tutto ha un contorno più triste e meno nobile della fonte d’ispirazione: non c’è nessuna divina provvidenza in questa realtà e la speranza porta spesso a pesanti ripercussioni.
BURNING (Lee Chang-dong, 2018): questa pellicola coreana del 2018 ha avuto una sola, grande sfortuna: essere uscita in concomitanza di Parasite. Il pluripremiato film di Bong Joon Ho ha, infatti, tolto visibilità a un’opera che aveva il diritto di mostrarsi al grande pubblico. Riprendendo un racconto di Murakami, Lee Chang-dong propone una storia che colpisce per la passione con cui è raccontata. Tutto funziona a meraviglia, dalla meravigliosa fotografia, all’efficace sceneggiatura che trasforma un racconto di venti pagine in un film di due ore e mezzo. Per chi conosce Murakami, Burning non sarà una novità, perché propone fedelmente quei personaggi che hanno colpito l’occidente: ritroviamo il solito protagonista, timido e chiuso e la solita co-protagonista, stramba e attraente. Questo film è, tuttavia, ben lontano dall’essere soltanto una storia d’amore, perché ripercorre le orme del cinema metaforico, tanto cara agli orientali. Così Burning diventa una storia di conflitti con se stessi e con l’arte, andando a focalizzarsi sugli scheletri nell’armadio di ogni artista, spaziando tra le cose “da bruciare” e le cose che “bruciano”.
LOVE (Gaspar Noè, 2015): Gaspar Noè è uno dei registi più folli in assoluto. Aldilà della qualità tecnica dei suoi film, che a mio parere non si può discutere, la maggior parte delle critiche riguardano il contenuto degli stessi. Il motivo è molto semplice: non è un artista che può piacere a tutti. Attenzione però, non sto dicendo che sia un regista da élite intellettuale, ma che le sue pellicole sono destinate a una fetta di pubblico “particolare”. Questo perché le storie che racconta sono forti e la personalità del regista impedisce spesso di immedesimarsi nella sua mente. Le sue opere sono infatti estremamente cupe, quasi fossero il risultato di un trip psichedelico del momento. Love, in particolare, è uno dei pochi film che mette in scena contenuti sessuali espliciti e non simulati, andando a creare un thriller dalle sfumature erotiche. Così la storia vede protagonista un alter ego dello stesso Noè, intrappolato in una quotidianità che non sente sua. Il film vede eccellere l’immoralità umana in tutti i suoi aspetti e dona, di conseguenza, allo spettatore un’esperienza ben lontana da quella del cinema convenzionale. Nonostante il regista sia quindi un artista particolare e probabilmente non adatto a una lista di consigli, credo comunque che i lettori debbano scoprirlo, poiché incarna perfettamente “l’anticonformismo cinematografico”. Forse Love non vi piacerà, magari lo disdegnerete, ma sicuramente sarà un’esperienza unica e indimenticabile.