Non ci resta che l’Oscar: Il Processo ai Chicago 7

Questo articolo nasce da un’idea ben precisa: recensire le pellicole candidate al premio oscar 2021 nella categoria “miglior film”. Ho riflettuto a lungo sulla creazione di un progetto del genere e le circostanze di certo non mi hanno disincentivato. Come ripeto spesso, infatti, il Covid19 ha fermato il cinema e diventa sempre più arduo trovare l’ispirazione per i nuovi articoli. Certo, esistono le piattaforme streaming che sono fonti inesauribili di ispirazione, ma l’esperienza non è la stessa. Così ho deciso di optare per una soluzione simpatica e coinvolgente al tempo stesso: accompagnare i lettori nella visione dei film candidati dall’Academy. Bisogna però fare una premessa di non poco conto: non tutti i lungometraggi sono arrivati in Italia.  Per quanto riguarda, infatti, Udas and the Black Messiah, Nomadland, Minari e Una donna promettente, c’è ancora da aspettare una data di uscita che probabilmente sforerà il 26 Aprile, ovvero il giorno in cui si terrà la cerimonia. Il progetto va quindi preso con le pinze, perché probabilmente ci vorrà tempo per portarlo a compimento. Perché allora non aspettare l’uscita di tutti e sette i film? Perché molti di questi perderebbero di attualità e recensirli a distanza di mesi non sarebbe una soluzione valida. L’obiettivo è allora quello di portare, in queste settimane, le recensioni di Mank, Sound Of Metal e Il processo ai Chicago 7(oggetto dell’articolo di questa settimana). Bando alle ciance e cominciamo:

IL PROCESSO AI CHICAGO 7

Avete tutti lo stesso padre vero? Taglio di capelli, rispetta l’autorità, rispetta l’America, rispetta me. La tua vita è un vaffanculo a tuo padre vero? È così? E riesci a capire quanto è diverso da un cappio appeso a un albero?

I processi nel cinema piacciono tanto, forse troppo. Così, quando esce un film che ha come oggetto un caso giudiziario, difficilmente rimane in sordina. Gli esempi nella storia del cinema sono numerosi, sia nelle serie tv che nei lungometraggi, ed elencarli tutti sarebbe impossibile. Fatto sta che lavori del genere rappresentano quasi sempre una miniera d’oro per i produttori, perché ricevono spesso un’accoglienza calorosa della critica e del pubblico. Da appassionato di cinema e da studente di giurisprudenza, sembra assurdo il fatto di non aver mai portato sulla rubrica articoli su film del genere. Il problema è che a tratti mi danno fastidio. Invito, tuttavia, i lettori a non fraintendermi, perché sono lungi dall’affermare che ogni pellicola sui processi sia da buttare. Intendo però dire che scrivere a riguardo mi sembra alquanto inutile, sia perché sono spesso troppo irrealistici per un’analisi critica da un’ottica giuridica, sia perché la maggior parte delle volte si tratta di cult visti e, di conseguenza, con migliaia di recensioni presenti su internet. Va detto però che Il processo ai Chicago 7 rappresenta un’eccezione alla regola, una piacevole sorpresa in un genere allo sbando. Il film di Aaron Sorkin, infatti, nonostante faccia fatica a liberarsi da quelle convenzioni banali che perseguitano i lavori di questo tipo, riesce comunque a portare una buona dose di originalità. Questo perché la sceneggiatura funziona a meraviglia, e non potrebbe essere altrimenti: Sorkin è uno dei migliori sceneggiatori in circolazione. Forte della sua esperienza di scrittura in pellicole come Steve Jobs e The Social Network, il regista/sceneggiatore riesce nell’obiettivo di creare una credibilità artistica di non poco conto. Così la storia dei Chicago Seven e delle ripercussioni derivanti dalla protesta contro Johnson e la guerra in Vietnam, è abbastanza lontana dall’essere il solito racconto dal sapore di minestra riscaldata, perché fotografa in maniera originale (per i tempi che corrono) ed efficiente uno spaccato sociale dalle caratteristiche rivoluzionarie. Tutto, effettivamente, appare interessante agli occhi di uno spettatore che viaggerà in realtà differenti, ma con un desiderio di libertà in comune. Il regista allora si allontana dalla convenzionale lotta tra bene e male e si focalizza sull’analisi dei vari contesti culturali che hanno segnato il ventennio degli anni 60 e 70: il risultato è sorprendente, perché finalmente viene messa in risalto la diversità. 

Il duro lavoro svolto nella scrittura è percepibile, perché tutto è curato nei minimi dettagli, dalle atmosfere ricreate ai personaggi. Il processo ai Chicago 7, reggendosi sui dialoghi, risulta quindi essere vicino a una teatralità sempre più in disuso. Come si avvicinano però il teatro e il cinema? Attraverso i grandi attori. Così l’imponente cast, che spazia da interpreti storici come Michael Keaton a star in ascesa come Eddie Redmayne, svolge un lavoro eccelso e assolutamente meritevole di un oscar. Una menzione d’onore va fatta inoltre per Sacha Barron Cohen e per il suo Abbie Hoffman, di gran lunga la rivelazione più importante della pellicola. Certo è che le abilità del comico britannico non sono sconosciute, ma vederlo confrontarsi con questo genere e uscirne da protagonista assoluto non è roba da poco: Il cast potrebbe quasi essere paragonato a una squadra di calcio, di cui il Sacha Barron Cohen è attaccante e trascinatore. Da queste premesse, si possono intuire tanti lati positivi, eppure ho detto che il lavoro degli attori è meritevole di un oscar, non il film in sé: per quale motivo? Perché, senza poter far nulla, Il processo ai Chicago 7 si ritrova in un insieme di lavori che per natura non possono superare un certo livello di qualità. Sorkin fa il possibile, ma le barriere costruite dai canoni convenzionali non permettono alla pellicola di spiccare il volo: in poche parole, l’ombra della “americata” incombe su un progetto che lotta (con successo) per essere credibile. Così, questo film, rimane un’esperienza godibile e da consigliare a tutti, ma di certo non è un’opera capace di segnare l’immaginario collettivo. Va detto, tuttavia, che per adesso (e ci tengo a sottolinearlo, perché l’Academy regala ogni anno grandi sorprese) questo lungometraggio rimane il solo a poter dare del filo da torcere per la vittoria della statuetta al favoritissimo Nomadland. Staremo a vedere!

VOTO 6,5

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