revisionato dal prof. Gustavo Visentini
Lo scorso 26 marzo i giudici della Corte Costituzionale Federale tedesca avevano sospeso la firma della legge di ratifica del piano riguardante il Recovery Package. La stessa era già stata approvata con larga maggioranza dal Parlamento, in attesa di esaminare il ricorso d’urgenza sulla legittimità costituzionale presentato dall’economista Bernd Lucke, già esponente del partito di estrema destra Alternative für Deutschland, e da altri 2.200 cittadini organizzati nel movimento Bündnis Bürgerwille. Si ricordi, a tal proposito, che la Corte Costituzionale Federale tedesca può essere adita direttamente con “ricorso costituzionale” dai singoli cittadini che vedano lesi i propri diritti. Questa vicenda aveva attirato su di sé l’attenzione della scena politica, giuridica ed economica di tutta Europa dal momento che, una pronuncia in senso favorevole al ricorso di Lucke, avrebbe comportato, oltre ad un forte appoggio alle idee del partito sovranista in questione e, quindi, uno squilibrio dello scenario politico (tedesco e non), almeno a livello teorico, anche il ripensamento dell’intera visione economica che accompagna il progetto europeo. Vi sarebbe, inoltre, un risvolto pratico di rilevanza internazionale: la Commissione Europea, difatti, non potrebbe erogare i 750 miliardi oggetto del pacchetto fin quando tutti e 27 gli stati non avranno ratificato l’accordo sul Recovery Fund.
La motivazione che aveva spinto alla proposizione di detto ricorso era che il Next Generation EU rischierebbe di essere il primo passo per un’Europa a debito comune e molto più integrata sul fronte economico. Ciò comporterebbe che il rischio dei paesi che si rivelino insolventi sia sopportato da stati membri, quali, ad esempio, la Germania, che si dimostrano più stabili.
Questo profilo coinvolge indubbiamente valutazioni innanzitutto di tipo politico. In un’ ottica più propriamente giuridica ed economica, si vede come il progetto di sempre maggiore integrazione europea, anche finanziaria, come in questo caso, vada ad interconnettersi con la visione neoclassica dell’economia, che in situazioni di crisi si rivela spesso inadeguata, e comporti profili di illegittimità costituzionale per i vari stati membri.
Difatti, è necessario muovere dalla teoria economica che si pone alla base dell’istituzione dell’intero sistema dell’Unione e della moneta unica e che si traduce, tra i vari, negli articoli 122 e 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Non è un mistero che i trattati siano permeati della filosofia neoclassica e, quindi, dal preteso e assoluto tecnicismo affidato alla Banca Centrale Europea. Quest’ultima, quale espressione di una sorta di scienza certa ed esatta, può agire acquistando titoli di stato degli Stati membri solo al fine di perseguire le ragioni di politica monetaria, quindi per mantenere stabile la moneta, ma con interventi congiunturali e senza che i singoli stati possano fare affidamento su tale aiuto, che risulta, così, essere solo secondario ed eventuale (ai sensi dell’art 123 del TUE). Unico limite, nonché base giuridica dell’European Union Recovery Instrument (EURI), è rappresentato dall’articolo 122 TFUE, che sancisce la competenza del Consiglio dell’Unione Europea ad adottare misure emergenziali.
Questa vicenda si pone necessariamente in collegamento con il problema, già precedentemente affrontato dalla Corte di Giustizia e dai giudici del Karlsruhe, della legittimità di interventi sul mercato da parte della BCE, la quale, acquistando titoli di stato, di fatto va a finanziare i singoli stati oggetto di detto intervento. Specialmente in situazioni quali la crisi del 2008 e l’attuale crisi economica data dalla situazione pandemica globale, ci si ritrova a domandare se questi interventi, sempre più frequenti, vadano di fatto a celare, dietro ad un preteso e assoluto tecnicismo, ragioni di politica economica e non solo monetaria, permettendo, così, il compimento di interventi sul mercato da parte dell’organo pubblico, che si configurano maggiormente con una filosofia Keynesiana. Ma, condividendo questa linea di pensiero, si pone la necessità di ripensare l’intero sistema economico e politico dell’Unione.
Questa diversa prospettiva aveva già visto la luce con le contrastanti sentenze della Corte di Lussemburgo e dei giudici tedeschi del Karlsruhe nel 2020. Per la Corte europea, l’acquisto sul mercato secondario di titoli di debito degli Stati nazionali non viola l’art. 123 del Trattato, che vieta alla BCE di finanziare gli Stati. L’acquisto di titoli di debito risulterebbe illegittimo se diretto, cioè in sede di emissione degli stessi. Al contrario, l’acquisto risulterebbe legittimo esclusivamente per l’esercizio della funzione monetaria, dunque per mantenere la stabilità dell’euro. In questo caso, l’aiuto allo stato sarebbe solo un effetto secondario e indiretto. Per la Corte tedesca l’effetto di finanziamento dello Stato cessa di essere secondario qualora, per la dimensione e la continuità delle operazioni, si consolida in modalità elusiva del divieto di finanziamento diretto, avendo riguardo, quindi, alle concrete modalità dell’operazione e al rispetto del principio di proporzionalità. In quest’ottica, quindi, la valutazione sulla sussistenza della frode non può coinvolgere solo profili meramente formali. La differenza tra le due situazioni (quella per cui vi sarebbe un aiuto diretto allo stato e quella in forza della quale le politiche di stabilità dello stato comportino indirettamente un aiuto finanziario allo stesso) deve essere valutata sotto un profilo sostanziale, andando ad esaminare l’intera situazione economica e la mancanza di occasionalità degli interventi della Banca Centrale Europea. Vi è, inoltre, da sottolineare, però, che il pacchetto del Recovery Fund non si porrebbe come intervento di finanziamento sporadico ad opera della BCE e, quindi, in violazione dell’articolo 122 TFUE, ma trova il suo fondamento in un apposito regolamento del Consiglio. In ogni caso, qualsiasi sia la fonte giuridica adottata, si riscontra comunque un’antinomia tra la visione economica espressa dai trattati e quella concretamente messa in atto.
Essendosi la Corte tedesca, quindi, già in passato pronunciata in maniera contraria ad iniziative di ulteriore integrazione monetaria e finanziaria, sulla base del dettato normativo costituzionale e dei trattati europei, il caso in questione (avendo perlopiù come oggetto i Recovery Fund, emblematica misura europea a sostegno degli stati nella lotta contro la pandemia, per cui si configura necessariamente una situazione di urgenza) potrebbe segnare una presa di posizione definitiva della Germania nei confronti dell’intero progetto europeo. Tuttavia, la Corte ha bocciato il ricorso d’urgenza, in un primo momento accolto, lasciandosi, però, un margine di intervento successivo, che si avrà modo di leggere nella sentenza definitiva. A fondamento della decisione di non accogliere il procedimento di ingiunzione preliminare, vi è una valutazione di bilanciamento. Si legge, infatti, che ” le conseguenze se l’ingiunzione preliminare non fosse emessa e poi la legge di approvazione fosse decretata incostituzionale sono meno gravi delle conseguenze che deriverebbero dall’entrata in vigore dell’ingiunzione preliminare ma la denuncia di incostituzionalità si dimostrasse alla fine infondata nel procedimento principale“.
Vi è, inoltre, da considerare, che il famoso caso PSPP dei giudici del Karlsruhe non può costituire un precedente per la vicenda in questione, nonostante la vicinanza politica delle idee sottese ad entrambi i ricorsi costituzionali. Il ricorso proposto da Lucke mira a far riconoscere che la “Decisione sulle Risorse proprie” (legge di ratifica del Recovery Plan) sia in violazione degli articoli 311 TFUE e 38, 20 e 79 della Legge Fondamentale Tedesca, senza far alcun riferimento, quindi, all’art 122 TFUE e al divieto di finanziamento agli stati, che rappresentava, invece, il perno della precedente vicenda giudiziaria. In particolare, le motivazioni giuridiche poste alla base del ricorso sulla Decisione, si basano sulla sussistenza dei requisiti richiesti dal Trattato. Difatti, da un lato il «Fondo per la Ripresa e la Resilienza», anche in quanto caratterizzato dalla eccezionalità e temporaneità, parrebbe rispondere all’art. 311, 1° e 2° comma TFUE, il quale stabilisce che «L’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e portare a compimento le sue politiche. Il bilancio [dell’Unione], fatte salve altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie.». Dall’altro, dato che introduce forme di indebitamento sovranazionale, sembrerebbe invece andare ben oltre il margine di scelta che sussiste, quando si devono individuare i mezzi che possono finanziare le stesse risorse proprie dell’Unione, in base all’art. 311, 3° comma TFUE. Posto questo, i ricorrenti sostengono che la «Decisione» violi il diritto primario dell’Unione: non si inciderebbe, innalzandole, sulle risorse proprie sovranazionali, ma si permetterebbe all’Unione, tutto al contrario, di ricorrere a forme di indebitamento assolutamente non contemplate dall’art. 311. Vi è, poi, un altro profilo, più propriamente inerente all’ordinamento costituzionale tedesco. Si ritiene che le nuove forme di indebitamento sovranazionale ledano la sovranità in materia di bilancio del Bundestag, dal momento che la Commissione, sulla base della legge di ratifica in questione, potrebbe stabilire del tutto autonomamente sulle finanze tedesche, potendo, in astratto, far sopportare l’intero carico dei 750 miliardi sulle casse della Germania.
Un ulteriore punto di analisi potrebbe essere rappresentato dall’articolo 20 della Legge Fondamentale Tedesca, così come interpretato dalla Corte Costituzionale. Difatti, da giurisprudenza consolidata deriva il principio in forza del quale tutto il diritto europeo, per essere legittimo e applicabile, deve essere conforme all’intero sistema costituzionale e, quindi, compatibile con tutti e 146 gli articoli della Costituzione. Questa configurazione mal si concilia con l’ormai assodato principio di primautè del diritto europeo su quello nazionale, ma i giudici del Karlsruhe, sul punto hanno affermato una “clausola di eternità” (che ricorda la dottrina dei controlimiti sancita dalla nostra Corte Costituzionale dapprima con la sentenza 238/2014, ma resa granitica nella vicenda europea con il celebre caso Taricco): due articoli della Legge Fondamentale sono assolutamente inviolabili, questi sono l’articolo 1 (sulla dignità umana) e l’articolo 20 che afferma il principio democratico. Torna, quindi, ancora una volta, il problema riguardante il deficit di legittimazione democratica e popolare che investe le istituzioni europee, specialmente nel momento in cui vadano ad essere violati i principi costituzionali dei vari stati membri. Questo anche perché, come più volte specificato nel diritto europeo, i rappresentanti degli stati, nel momento in cui siedono nelle varie istituzioni, sono espressione dell’istituzione stessa, quindi non possono essere considerati un’adeguata rappresentazione democratica. Per cui, secondo questa ricostruzione, tra l’altro, la Corte Costituzionale tedesca non potrebbe avere giurisdizione, in caso di eventuale azione di responsabilità nei confronti dei rappresentanti tedeschi nelle sedi europee. Questa osservazione concernente il principio democratico di cui all’articolo 20, può essere compiuta tanto con riguardo al caso PSPP (sebbene sul punto non sia intervenuta nessuna delle corti chiamate a giudicare), quanto al ricorso in esame, su cui la Corte si deve ancora pronunciare, e potrebbe rappresentare un punto di svolta definitivo sull’evoluzione del diritto pubblico tedesco e di tutti gli stati membri. La risposta del diritto europeo a questa evoluzione, però, non potrebbe che essere l’exit degli stati che non accettano questa limitazione di sovranità in favore del sistema istituzionale europeo, come effettivamente avvenuto con il Regno Unito. Ma da un punto di vista politico, possono reciprocamente l’Unione Europea e la Germania permettersi di arrivare a tale crisi definitiva?
Tutto ciò sta a significare che la vicenda è estremamente complessa, sotto entrambi i profili, giuridico e politico. La partita, dunque, è ancora aperta e la decisione della Corte può ancora avvenire ad un punto totale di rottura con le istituzioni europee, ponendo come necessario il ripensamento del pensiero alla base del progetto di integrazione europea. In ogni caso, qualsiasi sarà l’esito della sentenza, questa avrà un grande impatto sullo sviluppo del diritto e dell’economia di tutti gli stati membri, nonché sulle concrete modalità di contrasto alla crisi economica in atto.
Bundesverfassungsgericht, sentenza “PSPP” del 05/05/2020: 2 BvR 859/15
Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Sezione), dell’11/12/2018: C-493/17
Bundesverfassungsgericht, decisione del 15/04/2021: 2 BvR 547/21
Gustavo Visentini, “Lo scontro tra Corte tedesca e Corte europea e la vera posta in gioco”, in First Online, 29/08/2020
Mauro Romano, “La Corte costituzionale tedesca non blocca ratifica Recovery Fund”, in Milano Finanza, 21/04/2021
Monica Bonini, “Il Bundesverfassungsgericht tedesco, giudice “delle leggi” o “del destino” dell’integrazione europea? Prime considerazioni sulla pronuncia del 15 aprile 2021 del Tribunale costituzionale federale tedesco – 2 BvR 547/21”, in CERIDAP, il 30/04/2021