Intervista a Francesco Oggiano, autore di SociAbility

Classe’84. Pugliese di nascita, milanese di adozione. Collabora con Vanity Fair, Il Fatto Quotidiano, Rolling Stone, Rivista Studio, Wired, The Vision e Gq. Inoltre, ed è così che l’ho conosciuto io, è Editor at large di WILL (un riuscitissimo progetto di informazione sui social). Lì lavora da sempre, ma tipo da sempre sempre (possibilmente con una tazzina di caffè in mano).
Se cercate il suo CV su internet troverete, al posto di un deprimente foglio bianco con bullet point, un “CV dei fallimenti” (tra cui un suo tentativo a 6 anni di camminare sull’acqua mettendo i braccioli alle caviglie).
Stiamo parlando di Francesco Oggiano.
Ho avuto modo di intervistarlo in occasione dell’uscita del suo ultimo libro SociAbility. Come i social stanno cambiando il nostro modo di informarci e fare attivismo” di cui qui di seguito ci parla.

  • Per quanto riguarda te come scrittore, senti di essere maturato rispetto al tuo primo libro (Beppe Grillo parlante. Luci e ombre sotto le 5 stelle)

F: Molto. Rispetto al mio primo libro questo è molto meno tecnico. Anche da un punto di vista stilistico è molto più scorrevole e meno formale. Qui, ho avuto modo di inserire di più la mia visione.

  • Nella tua carriera di giornalista, qua l’è il progetto che ti ha dato più soddisfazione? 

F: Sarebbe banale rispondere questo libro? Se devo pensare ad altro, è sicuramente Will il progetto che mi ha dato più soddisfazione. È un progetto che ha permesso ai miei contenuti di raggiungere un grandissimo numero di persone avendo con queste un confronto diretto e, di conseguenza, anche di ricevere un feedback immediato, che, utilizzando gli strumenti tradizionali, non avevo la possibilità di ottenere.

  • C’è un “lettore – tipo” a cui questo libro si rivolge? 

F: Sicuramente non è un saggio per gli addetti ai lavori. L’idea era quella di fare una guida per chi, tra i 20 e i 60 anni, ogni giorno sta sui social e si ritrova a leggere notizie come shitstorm e linciaggi. SociAbility mira a spiegare i meccanismi che danno vita a queste dinamiche e a dare indicazioni sul come affrontarle.

  • Nel tuo libro suggerisci di sostituire la cancel culture con la compassion culture, ci spieghi con compassion culture che intendi?

F: Ha un significato spiegabile partendo dal termine compassione. Faccio sempre l’esempio dello zio che, ai pranzi di famiglia, insulta gli zingari. In questo caso si possono assumere vari atteggiamenti. Si può decidere di non andare più ai suoi pranzi, o ancora peggio di non farlo più invitare, oppure si può riuscire a stare assieme a lui, a soffrire con lui. Si può scegliere di confrontarsi ed ascoltarlo per arrivare a capire come nascono certe opinioni e esprimere le proprie. Magari resterà fermo sulle sue idee, ma in ogni caso lo avremo arricchito fornendogli un punto di vista diverso. 

  • A te questo cambiamento piace? O meglio prima? 

F: Sono dell’idea che non ci sia mai stata così tanta informazione fruibile a tutti. Sono ottimista riguardo i futuri orizzonti della comunicazione via social.

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