Il d.l. n. 4 del 2019 ha introdotto il Reddito e la Pensione di cittadinanza quali misure fondamentali di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, ponendone la decorrenza dal 1° aprile 2019.
In molti si sono interrogati sulla possibilità, per i soggetti detenuti, di beneficiare di tale istituto: nel d.l. istitutivo, l’unica menzione inerente ad eventuali condanne dei soggetti beneficiari compariva all’art. 7 co. 3 (denominato “sanzioni”), che recitava:
«Alla condanna in via definitiva per i reati di cui ai commi 1 e 2 e per quello previsto dall’articolo 640-bis del codice penale, nonché alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per gli stessi reati, consegue di diritto l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva e il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito. La revoca è disposta dall’INPS ai sensi del comma 10. Il beneficio non può essere nuovamente richiesto prima che siano decorsi dieci anni dalla condanna.»
Nulla compariva invece all’art. 2, che elencava i requisiti (personali, reddito-patrimoniali e relativi al godimento di beni durevoli) che doveva possedere il soggetto al fine di poter richiedere con successo il R.d.C. Tra i requisiti personali l’articolo presentava unicamente quello della cittadinanza italiana (residenza e soggiorno).
Il testo venne successivamente coordinato con la legge di conversione 28 Marzo 2019 n. 26, recante «Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni». Questa aggiunge importanti disposizioni volte a disciplinare specifici casi, tra questi, quello dei soggetti richiedenti che siano destinatari di misure cautelari. A tal fine, all’art. 2 venne aggiunta la lettera c-bis (quindi un ulteriore requisito):
“c- bis) per il richiedente il beneficio, la mancata sottoposizione a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché’ la mancanza di condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3.”
Il sopramenzionato art. 7 co. 3 venne pertanto così riformato:
“3. Alla condanna in via definitiva per i reati di cui ai commi 1 e 2 e per quelli previsti dagli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter, 422 e 640-bis del codice penale, nonché per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per gli stessi reati, consegue di diritto l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva e il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito. La revoca è disposta dall’INPS ai sensi del comma 10. Il beneficio non può essere nuovamente richiesto prima che siano decorsi dieci anni dalla condanna.”
Infine, venne introdotto l’art. 7-ter (Sospensione del beneficio in caso di condanna o applicazione di misura cautelare personale), che recita:
“1. Nei confronti del beneficiario o del richiedente cui è applicata una misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché del condannato con sentenza non definitiva per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3, l’erogazione del beneficio di cui all’articolo 1 è sospesa. (…)
5. La sospensione del beneficio di cui all’articolo 1 può essere revocata dall’autorità giudiziaria che l’ha disposta, quando risultano mancare, anche per motivi sopravvenuti, le condizioni che l’hanno determinata.(…).”
Pertanto, affinché un individuo sottoposto a restrizione possa presentare domanda per ottenere il R.d.C., è necessario guardare all’elenco dei delitti che escludono tale possibilità. Questo si trova all’art. 7 co. 3, e comprende:
- Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico (art. 270 bis c.p.)
- Attentato per finalità terroristiche o di eversione (art. 280 c.p.)
- Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (289-bis c.p.)
- Associazione di tipo mafioso (416-bis c.p.)
- Scambio elettorale politico-mafioso (416-ter c.p.)
- Strage (422 c.p.)
- Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (640-bis c.p.)
- Delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis c.p. (c.d. metodo mafioso)
- Reati ai commi 1 e 2 dell’art. 7 del d.l. 4/2019, ovvero 1. l’utilizzo di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, al fine di ottenere il R.d.C., (ovvero omette informazioni dovute) e l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio.
In sintesi, il diritto a percepire l’assegno è precluso ai cittadini condannati in via definitiva (nei dieci anni precedenti la richiesta), o sottoposti a una misura cautelare personale per determinati reati, ritenuti particolarmente gravi (art. 7 co. 3). Dal 2022 inoltre, sono state ampliate le ipotesi di reato con riferimento alle quali scatta la revoca del beneficio (riduzione in schiavitù, induzione alla prostituzione minorile e traffico di organi).