Sotto il Burka

INTODUZIONE ALLA MATERIA: Prima di affrontare la questione, occorre fare chiarezza circa il cuore della stessa dal punto di vista descrittivo, sociologico e giuridico. 

Per quanto concerne il primo aspetto, distinguiamo sei tipologie di abbigliamento femminile musulmano, elencate di seguito dalla meno alla più restrittiva: 

a) Shayla: velo che copre solo i capelli

b) Hiyab: velo che copre i capelli e il collo

c) Al-Amira: velo che copre i capelli e il collo, scende sulle spalle e sul petto, ma lascia scoperto il volto;

d) Chador: velo che copre integralmente i capelli, il collo (si chiude sotto il mento), le spalle e scende fino ai piedi;

e) Niqab: velo che copre il capo e il busto, lasciando scoperti soltanto gli occhi;

f) Burka: velo che nella sua versione completa (afghana) copre tutto il corpo, compresi gli occhi, alla cui altezza è posizionata una retina che consente a chi lo indossa di vedere all’esterno.

Dal punto di vista sociologico, la diffusione tali indumenti varia da Paese a Paese, ed è frutto delle diverse circostanze storiche e politiche. In particolare, nell’emigrazione in Occidente l’uso è assolutamente minoritario, sino (in Italia) a tendere a zero nelle generazioni di immigrati più giovani.

Dal punto di vista giuridico, il dibattito è acceso. Vi è l’esigenza di comporre e bilanciare due interessi che, in tal caso, appaiono contrapposti: infatti, se da un lato il pluralismo religioso e l’integrazione culturale sono corollari di una società aperta e pacifica, dall’altro vi è la necessità di garantire l’incolumità e la pubblica sicurezza. È a tal proposito pertinente una considerazione di ordine pubblico: le persone travisate in modo da non essere riconoscibili (il lettore ritenga o meno adeguata in tale sede l’interpretazione estensiva del termine “mascherato” utilizzato nell’articolo 85 TULPS[1], ovvero dell’articolo 5 della legge 152/1975[2]) non possono essere identificate dalle forze dell’ordine né, se del caso, descritte in modo efficace ai fini delle indagini dai testimoni. Appare opportuno sancire che la riconoscibilità, ai fini delle esigenze processuali e di incolumità pubblica deve essere garantita.

CASISTICAJalalabad, Afghanistan orientale – Nel 2007, uno dei primi episodi: viene fermata e arrestata una donna che nasconde sotto il burqua un carico di esplosivo, dopo essere stata seguita da funzionari dell’intelligence vicino al confine col Pakistan. Non è chiaro quale fosse il suo intento: usare l’esplosivo o consegnarlo.

Un altro episodio: nello stesso anno, un uomo-kamikaze nascosto sotto un burqa uccide 15 persone in un posto di blocco nel Pakistan nord-occidentale. L’attentatore si era travestito da donna e, approfittando della veste, è arrivato fino a un check-point della polizia alle porte di Bannu, cittadina chiave sul confine con l’Afghanistan, dove si è fatto esplodere.

DIBATTITO NORMATIVO: Dal punto di vista normativo, le proposte di legge in materia sono numerose. 

Sul piano internazionale, possiamo menzionare il parere dell’organizzazione non governativa Amnesty International, la quale sancisce la non priorità dell’argomento, visto il numero esiguo di individui che tale tematica tocca sul suolo europeo. Secondo Amnesty International un divieto generalizzato del burqa in Europa non è giustificato; non si dice tuttavia contraria ad una preclusione ad hoc, analizzata nel suo caso specifico: 

Una prescrizione legale che vieti di indossare un determinato capo d’abbigliamento in pubblico può costituire una limitazione della libertà individuale e religiosa. È però necessario valutare se tale limitazione è giustificabile per dei motivi di sicurezza, di salute pubblica o di ordine pubblico, o ancora per una questione morale. Bisogna inoltre valutare se la misura è proporzionata e se permettere di raggiungere lo scopo desiderato. Questi criteri vanno esaminati sistematicamente, caso per caso”.

Inoltre, nel 2018, il Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite, precisa in due decisioni che gli Stati membri possono esigere che un individuo sottoposto ad identificazione mostri il proprio volto per effettuare correttamente il controllo di identità. Tuttavia, il Comitato condivide la posizione di Amnesty International: “Un divieto generalizzato di dissimulare il viso è una misura troppo radicale”. A supporto di tale tesi, il Comitato sostiene che un simile divieto avrebbe come effetto una ghettizzazione ancor più incisiva delle donne costrette al velo, le quali rischierebbero di essere obbligate alla reclusione in casa, escluse dalla vita pubblica.

Allo stesso modo, nonostante la Francia tenta di vietare il velo integrale, sostenendo che tale divieto sia necessario e proporzionato per ragioni di sicurezza e indirizzato a garantire il rispetto della “convivenza”, la Corte di Strasburgo non convalida tale proposta, al contrario, emette delle importanti riserve pur considerando che sia necessario lasciare agli Stati “un ampio margine di apprezzamento”. 

CONCLUSIONI DELLA REDATTRICE

Lettori, 

Ho scelto di trattare questa tematica, a seguito di un episodio osservato di recente. Ero sulla metro di Singapore, quando un “individuo”, coperto da un Chador si è seduto nel posto accanto al mio. Pochi minuti dopo, ho notato che dal velo appuntato sul viso, sporgeva appena una barba folta e grigiastra. Ho quindi tentato di scorgere, con la coda dell’occhio, alcuni dettagli (in particolare, le mani, gli occhi e il poco di viso che rimaneva scoperto). Quella che pensavo fosse una donna di religione musulmana, era invece un uomo, che si celava dietro tale indumento.

Interrogandomi sulle ragioni che avrebbero potuto spingere un uomo a tale gesto, sul momento, non ho avuto paura (in quanto Singapore è nota per la sua estrema, maniacale sicurezza pubblica). 

Si stava forse nascondendo per raggiungere inosservato un determinato luogo?

Ho immaginato poi la medesima situazione in un contesto diverso: in un paese meno sicuro di quello in cui attualmente mi trovo, magari in uno scenario notturno. Ho avuto paura. Un velo che lascia scoperti solo gli occhi, o una parte quasi impercettibile del viso, potrebbe nascondere anche chi non ha intenti religiosi, ma violenti. Essendo io donna, alla vista di quella che suppongo sia un’altra donna, poiché vestita di un abito che caratterizza esclusivamente il suo genere, sono istintivamente postata ad “abbassare la guardia” e a fidarmi di chi ho davanti. Da oggi, forse, non sarà più così. 


[1] Art. 85 TULPS: “È vietato comparire mascherato in luogo pubblico. 

Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa da euro 10 euro 103.

È vietato l’uso della maschera nei teatri e negli altri luoghi aperti al pubblico, tranne nelle epoche e con l’osservanza delle condizioni che possono essere stabilite dall’autorità locale di pubblica sicurezza con apposito manifesto.

Il contravventore e chi, invitato, non si toglie la maschera, è punito con la sanzione amministrativa da euro 10 a euro 103.”

[2] Art. 5 L. 152/1975: “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo.”

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