La Camera di commercio Internazionale (ICC) pubblica i dati sul valore del commercio internazionale dei beni del 2022

La Camera di Commercio Internazionale (ICC)  ha pubblicato i dati sul valore del commercio internazionale di beni del 2022 che è salito all’impressionante cifra di 21 trilioni di dollari riflettendo il dinamismo e l’interconnessione dell’economia globale. Le previsioni per i prossimi anni afferma la Camera sono altrettanto promettenti, con un tasso di crescita annuo previsto del 5,6% fino al 2031. Per allora, il valore totale degli scambi dovrebbe raggiungere l’incredibile cifra di 35,8 trilioni di dollari.

Questi dati sono molto incoraggianti per noi giuristi e ci fanno comprendere come l’economia internazionale sia sempre più interconnessa. Ma questi dati devono essere analizzati più criticamente da economisti e giuristi.  

Il giurista deve conoscere le dinamiche dell’economia perché diritto ed economia non sono altro che due facce della stessa medaglia come ci ricorda la teoria dell’embeddedness. Il giurista in particolare soprattutto se opera con soggetti di Stati terzi, deve conoscere le dinamiche del commercio internazionale in modo da cogliere immediatamente le opportunità. Ma conoscere le dinamiche del commercio internazionale significa conoscerne la necessità e i presupposti del commercio globale, i vantaggi e le esternalità infatti solamente in questo modo si potranno comprendere i percorsi normativi sovranazionali tesi a ridurre al minimo i costi che potrebbe derivare dal commercio internazionale. 

Perché gli Stati scambiano tra loro beni e servizi? 

Gli Stati scambiano tra loro beni e servizi perché non possono produrre tutto ciò di cui hanno bisogno ma possono produrre solamente un ammontare limitato di beni. Questo dipende dai loro fattori di produzione ovvero terra (risorse naturali non equamente distribuite), capitale (denaro e tecnologie non equamente distribuite), lavoro (conoscenze non equamente distribuite). Ad esempio se in Inghilterra vi fosse una domanda interna di mango essa non può produrlo e quindi deve essere per forza importato. Lo stesso vale con il denaro e le tecnologie nella Repubblica Democratica del Congo dove vi è una domanda interna di apparecchiature radar ma non può produrli perché non ha il denaro e le tecnologie quindi deve importali. Idem per le conoscenze, e anzi qui è il punto principale, il Ciad ha una domanda interna di macchinari utensili ma non ha al suo interno soggetti che sanno come produrli quindi deve per forza importarli.

Questo è il punto di partenza che porta alla conclusione secondo cui  il commercio internazionale è l’unica soluzione possibile per garantire il benessere della vita all’interno di uno Stato.

Nonostante ciò il commercio internazionale può essere praticato mediante diversi modelli e non attraverso un solo modello. 

Questi modelli che si sono susseguiti anche in epoche passate sono caratterizzati dalla centralità della norma giuridica.

Il sistema di commercio internazionale attualmente vigente, sostenuto in primis dall’Omc ha vantaggi e costi. Esso genera:

1. Maggiore varietà dei beni: il commercio internazionale aumenta la varietà dei beni all’interno di uno Stato ma genera anche la standardizzazione dei beni per la teoria della emulation di Veblen;

2. Minori costi grazie alle economie di scala: il commercio internazionale genera una riduzione dei costi grazie alle economie di scala ma non si considerano i costi dell’inquinamento;

3. Aumento della concorrenza: il commercio internazionale apre le frontiere e determina un  aumento della concorrenza ma questo comporta anche l’aumento della dimensione dell’impresa e quindi situazioni di oligopolio;

4. Stimolo alla crescita economica: il commercio internazionale stimola la crescita economica ma la crescita in alcuni Stati comporta la decrescita in altri. 

Questi aspetti positivi e negativi del commercio internazionale devono far sì che il diritto internazionale debba tracciare nuove rotte e in particolare riprendere determinate scuole dell’economia politica che in passato erano utilizzate da alcuni Stati nella negoziazione dei trattati internazionali commerciali ovvero la scuola istituzionalista e sviluppista dell’economia politica. Quindi occorre che le istituzioni superino delle rappresentazioni logico-matematiche e mettano al centro il diritto. In particolare, tre spunti interessanti di riflessione da mettere al centro:

1. Trasformazione: Convenzioni internazionali che premino la capacità di trasformazione delle risorse naturali sul territorio dei singoli Stati;

2. Pil/km2: considerare sempre più un indicatore economico poco considerato dai decisori politici ovvero il PIL/Km2 che rappresenta il radicamento della produzione sul territorio di uno Stato;

3. Teoria dell’industria nascente di Alexander Hamilton: proteggere l’industria nascente dalla penetrazione internazionale aggressiva per far diventare l’industria nazionale più competitiva e poi farla esplodere all’esterno sui mercati internazionali.

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