Si può narrare senza usare tinte forti quello che accade in un’aula di Tribunale?
Negli Stati Uniti è una pratica comune; in Italia per anni la tradizione del romanzo giudiziario ha avuto scarsa fortuna, e non perchè gli Italiani non sappiano scrivere storie processuali. L’impunità e la tortura avevan prodotto due storie; e benchè questo bastasse a tali giudici per proferir due condanne, vedremo ora come lavorassero e riuscissero, per quanto era possibile, a rifonder le due storie in una sola, scriveva già Manzoni ne La Storia della Colonna Infame. L’argomento principale dell’opera è proprio il processo del 1630 contro gli untori, in cui dimensione letteraria e dimensione giudiziaria si compenetrano.
Oltre alla curiosità di sapere se l’accusa regga o meno, il giallo domina la letteratura perché tutto è collegato, nell’idea che nella vita ci sia ordine e che tutto sia logico e spiegabile. Il cliente è sempre innocente e accusato ingiustamente, l’accusatore è sempre meno intelligente del difensore e il giudice simpatizza con la difesa. Ogni mezzo è lecito, e il trionfo sempre della giustizia assoluta. Sono le cronache dei processi più clamorosi, riportati sui giornali popolari, a determinare il successo del giallo processuale, che si fa talvolta anche dispositivo in grado di decifrare i sintomi del cambiamento socio-culturale, così come dell’evoluzione delle teorie e delle prassi del diritto penale. In Italia, tuttavia, la letteratura delle cause celebri non diventa sin da subito romanzo giudiziario. Fino al 24 ottobre 1989 (i.e. data di entrata in vigore del nuovo Codice di procedura penale) la penna degli scrittori di genere italiani è stata, infatti, frenata dal descrivere la commedia umana dei tribunali e le dinamiche di potere anche per il regime di istruttoria segreta vigente. Dalla seconda metà degli anni Novanta, si professionalizzano, tra gli altri, nel mercato editoriale della giallistica, gli operatori della giustizia, soggetti interni allo stesso mondo che rappresentano. Lo scenario cambia. Meglio tardi, che mai. Il lettore moderno, in un vero fenomeno patologico, sembra ricercare nei libri non più l’otium, bensì il negotium, divenendo così soprattutto i noir dei magistrati una forma d’impegno civile. Gli esponenti del nuovo giallo italiano spiegano al lettore i meccanismi processuali entro la forma del romanzo, nello sforzo di far rimanere il giallo letteratura di ricerca e di interrogazione e non letteratura morale, senza secondi livelli soggiacenti alla realtà dei fatti. I riferimenti al procedimento penale sono fedeli alla realtà, assente qualsiasi funzione retorica, contro l’argomentazione di Richard A. Posner, secondo cui la giustizia in letteratura non può che farsi metafora. In Testimone inconsapevole, Gianrico Carofilgio riesce, difatti, a elevare il rito processuale italiano a legal thriller, attraverso la descrizione del lavoro di una Corte d’Assise, dei suoi giudici, degli avvocati di difesa e di parte civile, alternando la vicenda più strettamente processuale a quella personale dell’avvocato protagonista. L’interesse popolare si è così rafforzato e programmi come Un giorno in pretura hanno fatto scuola. Tuttavia, le trasmissioni della tv verità e i processi mediatici raccolgono ogni conoscenza che arrivi al microfono, riferiscono ciò che la giustizia fa, incalzonadola o criticandola, dandone cioè la loro interpretazione: la realtà processuale così non si incentra più su un dibattito tra parti, bensì su un duello mediatico. Il contraddittorio diventa spurio per convincere l’opinione pubblica e, per questo tramite, il giudice. La collettività controlla e così valuta il modo in cui si amministra la giustizia in suo nome. Davvero il modello letterario può influenzare la realtà? Il leggere diviene un andare incontro a qualcosa che sta per essere. L’azione che si svolge nel giallo è un processo di decifrazione dell’enigma: la realtà non è una situazione, ma una dimostrazione, un metodo. Tuttavia, nel mondo della logica formale non esiste il mistero di un delitto, bensì il problema, i dati, gli indizi, nella necessità della certezza della soluzione.
In copertina: un courtroom sketch di Andrea Spinelli