Chi ama non maltratta

Negli ultimi anni la violenza sulle donne è sempre più al centro della cronaca italiana divenendo ormai parte di una normalità che ne svilisce la gravità e l’urgenza.

Complice la pandemia e soprattutto la fase più drammatica del lockdown, quando si è assistito ad un preoccupante aumento di tali episodi che sono diventati all’ordine del giorno dal momento che rispetto a qualche anno fa sono quasi raddoppiate le chiamate al numero antiviolenza.

I dati parlano chiaro: raggiunte le 100 vittime nei primi mesi del 2023.

La casa si trasforma in un luogo ostile dove le donne non solo subiscono ripetuti traumi fisici, venendo violentate, picchiate, costrette all’atto sessuale, ma soprattutto una continua e ininterrotta violenza piscologica. 

Pensare che fu solo nel 1996 che la violenza sessuale venne riconosciuta come delitto non più contro il buon costume, ma contro la persona.

In una giornata così importante come quella del 25 novembre, non solo dobbiamo ricordare le numerose donne a cui la vita è stata brutalmente strappata, ma anche pretendere giustizia, perché troppo spesso ai carnefici si cerca di addurre ogni tipo di attenuante, concentrandosi sulle motivazioni e svalutando la prospettiva di chi la violenza l’ha subita in prima persona. 

Basta trovare una giustificazione, una scusante, basta parlare di motivo amoroso: l’amore non è botte, umiliazioni, stalking, l’amore non è omicidio.

La data della ricorrenza non è stata scelta casualmente, ma ricorda il ritrovamento in fondo ad un precipizio, il 25 novembre 1960, dei corpi delle tre sorelle Mirabal, che portavano con loro evidenti segni di tortura: erano state catturate dai servizi segreti del dittatore della Repubblica Dominicana Rafael Leònidad Trujillo e poi barbaramente uccise.

Quale meccanismo scatti nella mente dei carnefici non ci è dato sapere, basta non limitarsi a considerare la violenza contro le donne un problema culturale: è necessario definirla un’emergenza sociale che, come tale, riguarda tutti gli individui. 

In questo clima, che affossa i diritti di molti individui, lo Stato sceglie di votare a favore della “tagliola” di un testo come il ddl Zan, che propone l’introduzione di “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità“.

La situazione delle donne occidentali è comunque privilegiata rispetto a quella di tante altre donne nel resto del mondo. Si pensi alle ragazze afgane, che da un giorno all’altro si sono viste private di questa come di tante altre libertà: che cosa avranno provato loro, se noi, da lontano, non possiamo che sentirci violentate per tali decisioni maschiliste?

Tra le tante colpisce la storia di Mahjubin Hakimi, che a soli diciotto anni è stata decapitata perché ha osato giocare a pallavolo senza l’hijab. Non era una ragazza diversa da noi, ma la vita le è stata strappata ingiustamente e la responsabilità ricade su tutta la società, colpevole di aver abbandonato tante ragazze come lei.

È necessario sensibilizzare le nuove generazioni su questo tema, perché la violenza in generale nasce dal germe dell’ignoranza che si fa strada nelle menti dei bruti e, come una malattia, si propaga alla velocità della luce. 

È fondamentale diffondere una cultura di genere attraverso azioni quotidiane e non solo in occasione della giornata sulla violenza contro le donne: lo dobbiamo alle donne che non hanno una voce, a quelle che hanno attraversato l’Inferno e ne sono uscite, ma soprattutto a chi questa violenza estrema l’ha subita e non la può più raccontare. Tutto parte dall’educazione che si dà ai giovani: saranno loro, in un futuro prossimo, ad avere le chiavi di questo mondo, a prendere le decisioni e a dover condannare questi comportamenti con fermezza. Parlarne è l’unico modo per infondere coraggio a tutte le donne vittime di soprusi, perché decidere di denunciare una violenza non è mai semplice. È doveroso non abbandonare le vittime, assicurando loro protezione e assistenza fisica e psichica, garantendo la massima rapidità di intervento nei confronti dell’oppressore. Dobbiamo unirci per lottare contro questo mondo che ama definirsi civilizzato, ma dove in realtà dilaga una profonda disomogeneità di generi e dobbiamo impegnarci tutti per riconoscere i segnali che le donne continuamente inviano, affinché si possa affrontare in modo efficace la violenza di genere. 

Troppo spesso le donne denunciano, ma alla fine sono lasciate sole, come Concetta Marruocco, che con coraggio ha fatto processare il marito, ma questo è comunque riuscito ad accoltellarla a morte. 

Così come Concetta, anche Anna Scala aveva deciso di denunciare per due volte l’ex, ma alla fine è stata uccisa mentre usciva dal suo condominio. 

È inaccettabile una sentenza come quella di Carol Maltesi, il cui corpo è stato trovato a pezzi dentro sacchi di plastica e gettato in un dirupo, ma per il suo assassino niente ergastolo perché il Tribunale di Busto Arsizio ha stabilito che lei era disinibita, lui innamorato perdutamente e si è sentito usato. Tredici martellate in testa, ma è stata esclusa anche l’aggravante della “crudeltà”. Come Carol, tantissime donne sono vittime di sentenze sessiste che giustificano e sminuiscono orribili omicidi così che proprio quel sistema che dovrebbe proteggerle, le uccide una seconda volta.Non è normale che tutto ciò sia normale e pertanto è necessario combattere universalmente e quotidianamente la violenza, affinché finalmente venga il giorno in cui questa sarà definitivamente estirpata.

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