L’avvento dell’intelligenza artificiale ha rivoluzionato ogni settore della nostra vita quotidiana, diffondendosi in modo sempre più pervasivo. Attività una volta riservate all’ingegno umano sono ora affidate alle macchine, che continuano a evolversi e apprendere con sempre maggior sofisticatezza. Tuttavia, questo rapido sviluppo solleva interrogativi di natura etica e giuridica che non possono essere trascurati.
È interessante notare che già nel lontano 2010 il volume di dati trattati era equivalente a 180 milioni di volte le informazioni conservate nella biblioteca del Congresso di Washington, considerata la più grande del mondo. Questo dato impressionante evidenzia la mole di informazioni prodotte quotidianamente, una quantità di dati che sarebbe ingestibile senza l’ausilio dell’IA, che consente di trattarli con rapidità e precisione. Tuttavia, ciò solleva preoccupazioni legate alla privacy e alla sicurezza dei dati; la diffusione generale dell’IA comporta il rischio di una costante e invadente intrusione nelle sfere più intime della vita di ognuno di noi, con una chiara e generalizzata violazione del diritto alla riservatezza. Questo diritto, sancito anche a livello costituzionale, ha visto inizialmente una tutela attraverso il consenso informato, ma questo strumento si è dimostrato ben presto insufficiente nel proteggerci.
Uno dei pericoli maggiori dell’IA risiede nella sua capacità di cristallizzare la realtà, inducendo i destinatari delle informazioni a credere erroneamente nella loro oggettività e completezza. L’eccessivo utilizzo nel campo dell’informazione e della propaganda politica rischia di favorire la diffusione di una forma di “bubble democracy“, nella quale i cittadini si trovano confinati all’interno di cerchie sociali sempre più ristrette e auto-referenziali. Questa tendenza può portare ad una percezione distorta della realtà, dove le opinioni personali vengono amplificate senza essere messe a confronto con punti di vista alternativi.
Tale fenomeno, se non controllato, potrebbe alimentare una deriva verso una società frammentata, polarizzata e radicalizzata. È evidente, dunque, che l’ampia diffusione e l’utilizzo dell’IA possono influenzare diversi aspetti legati al principio di eguaglianza, generando sia impatti positivi che negativi su scala globale.
Basti pensare anche al suo utilizzo nei contesti giurisdizionali, specialmente negli Stati Uniti, per valutare la pericolosità sociale degli imputati o dei condannati, che solleva serie preoccupazioni riguardo alla presenza di pregiudizi nei processi decisionali automatizzati. Studi hanno evidenziato il rischio che tali valutazioni siano influenzate da pregiudizi etnico-razziali, portando a un trattamento discriminatorio nei confronti di alcune comunità. La presenza della componente umana è infatti essenziale per garantire un processo equo, in quanto è necessario ricevere un giudizio da individui che condividono la stessa comprensione sociale, evitando così i rischi associati alla delega di decisioni cruciali a sistemi automatizzati. Il diritto a una decisione che tenga conto almeno in parte della dimensione umana è fondamentale, anche considerando la possibilità di errori che ancora caratterizza le operazioni algoritmiche.
Questi risultati sottolineano l’importanza di regolamentare l’uso dell’IA che ormai sfugge sempre più a ogni logica di controllo.
Nel tentativo di affrontare le sfide poste dall’innovazione tecnologica, è stato fatto un passo epocale con la recentissima introduzione dell’AI ACT, l’atto normativo europeo progettato per regolare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Questo atto, primo nel suo genere a livello mondiale, mira a garantire che i sistemi di IA utilizzati nell’Unione Europea siano conformi ai principi e ai valori fondamentali dell’Unione stessa.
La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha sottolineato come questa legislazione stabilirà lo standard globale per gli anni a venire.
L’atto mira ad introdurre un quadro normativo completo per l’utilizzo responsabile dell’intelligenza artificiale, affrontando questioni cruciali come la sicurezza, la privacy e la non discriminazione. Tutto ciò si basa su un approccio “risk-based“, simile a quello già usato per il GDPR: maggiore è il rischio dell’utilizzo di un determinato sistema sulla vita delle persone e sui loro diritti fondamentali, maggiori le responsabilità di chi sviluppa e usa quel sistema. Emerge dunque il passo importante che l’Unione europea ha fatto, al fine di favorire un quadro normativo chiaro e affidabile, senza trascurare i rischi di questo fenomeno, ma tentando di comprenderli e disciplinarli.
Per garantire il rispetto delle norme, l’AI ACT prevede anche la creazione di un nuovo ufficio europeo sull’intelligenza artificiale e l’applicazione di sanzioni significative per le violazioni, al fine di garantire il rispetto delle norme e la protezione dei cittadini.
È evidente che l’AI ACT non solo segna un punto di svolta nella regolamentazione dell’intelligenza artificiale, ma incarna anche l’impegno dell’Unione Europea per un futuro digitale più sicuro ed etico. Attraverso questa introduzione innovativa, l’UE si pone all’avanguardia nel promuovere un utilizzo responsabile dell’IA, garantendo al contempo la protezione dei diritti umani, la trasparenza e la sicurezza in un’era digitale in continua evoluzione. Come sottolineava Albert Einstein, ‘la tecnologia è un servitore utile, ma può diventare un padrone terribile’. Con l’AI ACT, l’Unione Europea si impegna a garantire che la tecnologia lavori a nostro vantaggio, proteggendo al contempo i nostri diritti e la nostra dignità. È auspicabile, dunque, un futuro in cui l’intelligenza artificiale sia al servizio dell’umanità per un mondo migliore.