Vittoria e sconfitta sono due sostantivi femminili che suscitano entrambe forti reazioni emotiveseppur con modalità diverse.
L’una si manifesta come il risultato di una superiorità conseguita al termine di un evento bellico, di una competizione sportiva o di una contesa giuridica nei confronti di un avversario o nemico; l’altra, di converso, è l’espressione dell’insuccesso.
Tuttavia se ci limitassimo a confinare questi due stati d’animo nell’alveo di una gara, di un gioco d’azzardo, di una guerra o di una battaglia priveremmo l’umanità di due stati emozionali che, alternandosi con una frequenza non sempre equanime, accompagnano da sempre ogni quotidiano vivere.
Non vi è alcun dubbio che il presupposto esistenziale affinché si possa declamare una vittoria o lamentare una sconfitta chieda la presenza di un avversario e dunque di un conflitto nel senso più ampio del termine e questo è facilmente riconducibile alle situazioni sopracitate legate per una logica simbiosi alle definizioni dei due termini. Ma questo vincolo lessicale non ci priva della possibilità di attribuire ai termini “avversario” e “conflitto” una estensione semantica oltre confine se ricondotta alle avversità e alle conflittualità culturali, economiche, sanitarie, sociali, spirituali che coinvolgono il mondo giovanile.
Sarà dunque lecito e auspicabile per un giovane domandarsi il significato di una vittoria o di una sconfitta rispetto a chi e a quali valori.
Potremmo esordire affermando che il primordiale soddisfacimento della sopravvivenza e del piacere che ci accompagna per tutta la vita, rappresenta di per sé, quando raggiunto, una vittoria a fronte di chi soccombe nei primi giorni o anni di vita per una tragica condizione di miseria. Con il trascorrere degli anni non mancheranno le sfide quotidiane, a lungo o a breve termine, a fronte delle quali potremmo sentirci di volta in volta vinti o vincitori.
Ma l’obiettivo dell’uomo è rivolto alla costruzione di un senso della sua esistenza e dunque ecco affacciarsi un altro travaglio per ogni età, un nemico vestito con l’abito di un interrogativo da combattere attingendo ad un profondo percorso di crescita dove la vittoria o la sconfitta al momento percepita non rappresenterà mai, tuttavia, un risultato definitivamente acquisito.
Tale battaglia che eleva l’uomo dal mondo animale è la più impegnativa ma anche la più importante perché mai come oggi chiede ai giovani uno sforzo collettivo culturale di natura non puramente ideologica quanto concretamente liberatoria per trasformare consapevolmente una vita formalmente anonima in una testimonianza sostanziale.
L’attuale modello economico-non certo ad impronta umanistica-non facilita il compito riconoscendo l’intera umanità e quindi anche il mondo giovanile e infantile come acquirenti e potenziali consumatori. In tal modo si perpetua-con una dinamica puramente commerciale-il binomio primordiale sopracitato sostituendo il consumo alla sopravvivenza e il piacere con il divertimento così da portare i giovani fin dalla prima infanzia nonché spesso anche gli adulti a perdere la distinzione tra ciò che si desidera e ciò di cui si ha reale bisogno. Questo continuo esaurimento del desiderio priva all’orizzonte la vista del futuro e in sostanza, vivendo il soddisfacimento consumistico del quotidiano, qualsiasi obiettivo che in sé custodisce la sfida da cogliere. Quell’”ospite inquietante” che U. Galimberti individua nel “nichilismo” di F. Nietzsche serpeggiante fra i giovani è il vero nemico di oggi che in quanto tale offre una imperdibile occasione di sfida e dunque l’assaporare di una possibile vittoria. In questa cornice è comprensibile il malessere derivante da un disorientamento di massa sui valori da perseguire, sui sentimenti e sulle ambizioni da coltivare e dunque il tempo relegato allo scorrere passivo degli eventi naturali sembra aver abbandonato il legame con la storia.
La linea di demarcazione fondamentale che ci aiuta ad esprimere con maggiore chiarezza questo concetto di fuga giovanile per la vittoria sta nel perseguire obiettivi che conducono ad una esplicita finalità piuttosto che, come spesso accade, risultati di “sopravvivenza” alimentati dal denaro senza un orizzonte di senso.
Impariamo dunque a rinascere dopo le necessarie sconfitte, riconoscendo le proprie capacità e i propri limiti, uscendo dalla condizione di spettatori per una etica del navigante che superando i perigli riconosce nell’approdo culturale e spirituale la sua vittoria.