La prima casa in cui ho vissuto nel corso della mia vita, dal tempo della mia nascita fino ai quattordici anni circa, si trovava in una strada della città -Arezzo- dedicata a quelle che allora, nell’epoca dell’infanzia, mi parevano figure sfumate ed indefinibili, come avvolte da un’aura di solenne mistero.
Il nome era “Via caduti sul lavoro” e nella mia incoscienza di bambino non riuscivo a trarre un significato dall’accostamento metaforico del verbo “cadere” con il sostantivo “lavoro”.
All’epoca, il mondo della metafora, e nello specifico dell’eufemismo, mi era del tutto ignoto, portandomi a chiedere lumi ai miei genitori, così che disvelassero la verità su quella espressione così strana.
Venni quindi a sapere che “caduto”, in quel contesto come in molti altri, significa semplicemente “morto”, e mi sentii in qualche modo orgoglioso di soggiornare in un luogo che rendeva omaggio a delle persone decedute svolgendo un’attività indispensabile alla vita.
Al di là delle incomprensioni linguistiche della prima età, non mi lasciava indifferente una storia, spesso narrata da mia madre, relativa alla volta in cui mio nonno, muratore, cadde da un’impalcatura e rimase ricoverato in ospedale per diverso tempo.
Iniziai a riflettere su quanto potesse essere doloroso e traumatico perdere una persona cara, mentre si stava impegnando per dare il suo contributo alla famiglia.
Morire lavorando iniziò a sembrarmi qualcosa di terribilmente drammatico, una tragedia nella tristezza della morte, qualcosa di non tollerabile.
Questi ricordi di anni ormai piuttosto remoti, mi portano oggi a scrivere qualche modesta riga sul tema.
Vorrei iniziare facendo notare che, fortunatamente, il numero degli incidenti sul lavoro in Italia, secondo i dati dell’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) è tendenzialmente in diminuzione nel corso degli ultimi anni.
Durante il 2020, il numero di infortuni sul lavoro denunciati all’Istituto è notevolmente diminuito rispetto all’anno precedente, anche se la comparazione non è particolarmente calzante, complice l’influsso la pandemia da covid-19.
Secondo l’Inail, sono stati 554.340 gli infortuni sul lavoro denunciati nel 2020, in calo del 13,6% rispetto ai 641.638 dell’anno precedente.
Si deve segnalare che, nello specifico, la diminuzione è avvenuta per la popolazione lavoratrice maschile, mentre per quella femminile si è verificato un aumento, seppur lieve.
Inoltre, purtroppo, 2020 sono accaduti 1.270 incidenti con esito mortale, 181 in più rispetto ai 1.089 del 2019.
Nell’anno da poco conclusosi invece, il numero di persone che sono decedute lavorando corrisponde a 1.221, con una diminuzione pari al 3,9% rispetto al 2020.
La media del 2021 rimane comunque di tre morti al giorno, un numero intollerabilmente alto.
Bisogna anche considerare il fatto che in Italia, differentemente da quanto accadde in altri Paesi, le persone decedute nel tragitto da casa al luogo di impiego, sono menzionate nel numero dei caduti sul lavoro.
Viene da chiedersi a quanto possa ammontare la purtroppo esistente “cifra nera” in materia, legata al numero di ferimenti o decessi occorsi nell’ambito di rapporti di lavoro irregolari, senza contratto.
Del resto, secondo uno studio del 2019, condotto dalla Cgia di Mestre, il lavoro nero in Italia determina 77 miliardi e 800 milioni di euro di valore aggiunto.
Tale studio è basato sui dati resi disponibili dall’Istat.
D’altro canto però, è anche estremamente improbabile, si sostiene nel settore, che un imprevisto lavorativo grave e foriero di lesioni serie o morte rimanga del tutto inosservato e celato alla cognizione delle autorità.
Le statistiche degli ultimi anni sono in parte influenzate dal fatto che, nel 2017, è stato introdotto per legge l’obbligo, in capo ai datori di lavoro, di dare comunicazione all’Inail di qualsiasi infortunio riportato da dipendenti, tale da comportare almeno un giorno di assenza dal luogo di lavoro.
Prima di tale anno, l’informazione all’Istituto risultava doverosa solo qualora l’incidente avesse determinato un’impossibilità di lavorare per almeno tre giorni.
È interessante notare come l’Inail debba occuparsi di vagliare l’attendibilità delle denunce presentate.
Come riporta Il Post (“Cosa dicono i dati degli incidenti sul lavoro”), nel 2019 le denunce accertate positivamente, quindi confermate, sono state 369.290, il 65,8 per cento di quelle presentate. L’articolo citato prosegue ricordando che l’analisi delle serie storiche di Inail e Istat permette di constatare come il numero di denunce relative ad infortuni sul lavoro si sia sostanzialmente dimezzato rispetto ai primi anni Duemila, senza considerare il decremento ancora più marcato, rispetto ai decenni precedenti.
Si ricorda anche che, secondo recenti dati dell’Ufficio Statistico dell’Unione Europea, Eurostat, l’ammontare di incidenti sul lavoro mortali in Italia è vicina a quella di altri Stati europei.
È auspicabile che gli organi preposti al controllo, quali gli Ispettorati del Lavoro, intensifichino la loro opera preventiva.
A causa della pandemia, nel 2020 i controlli degli ispettorati sono passati dai 18.000 del 2019 a 10.000.
A questo proposito, tuttavia, è necessario rammentare che le risorse a disposizione di simili istituzioni sono state in genere molto limitate.
Un recente intervento correttivo del governo si è avuto con un decreto legge dello scorso ottobre, poi convertito in legge.
La nuova normativa prevede che, laddove un’impresa impieghi lavoratori senza contratto per un totale superiore al 10% -prima la regola prescriveva il 20%- sia sanzionata con un’interdizione delle attività e non possa contrattare con la pubblica amministrazione per tutto il periodo di limitazione. Allo stesso modo è previsto che, qualora l’impresa si riveli inadempiente con gli obblighi sulla tutela del lavoro, subisca un periodo di chiusura. È stato inoltre aumentato l’organico dell’ispettorato del lavoro, con 1.024 nuove assunzioni. Sono stati stanziati oltre 3,7 milioni di euro per dotare gli ispettori di strumenti tecnologici adatti ai loro compiti. Ulteriori interventi sono quelli riguardanti l’incremento del numero di carabinieri proposti ai controlli e un aggiornamento tecnico del sistema informativo e alla banca dati dell’Inail. Si spera che questi interventi possano finalmente sortire un definitivo superamento del problema, anche alla luce dei recenti e tragici casi di giovani donne e uomini deceduti sul luogo di lavoro, come Luana D’Orazio, o addirittura nel caso di esperienze scolastiche professionalizzanti, ad esempio nelle vicende di Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci, senza dimenticare tutte le altre vittime innocenti, cadute a causa di questa annosa piaga sociale.