Il lavoro agile (c.d. smart working) è una particolare modalità di esecuzione della prestazione di lavoro subordinato, introdotta anche al fine di agevolare la conciliazione dei ritmi di vita e lavoro.
Costituisce un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda e si basa su quattro pilastri fondamentali: revisione della cultura organizzativa, flessibilità rispetto a orari e luoghi di lavoro, dotazione tecnologica e spazi fisici.
Possiamo ritenere che, con la nascita del lavoro in modalità telematica, il concetto di ufficio è divenuto ‘aperto’.
Ci si è chiesti se fosse onere del datore fornire al lavoratore gli strumenti utili a svolgere l’attività lavorativa in modalità smart. A tal proposito ho posto tale interrogativo al Prof.Avv. Raffaele Fabozzi, esperto in diritto del lavoro, il quale ritiene che:
“Dove il lavoratore non è in possesso di mezzi per svolgere in modo idoneo la propria attività lavorativa è utile che il datore li metta a disposizione, bisogna comunque tener conto del contesto aziendale, delle esigenze e costi in capo al datore di lavoro.”
La modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato può essere stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa; devono essere rispettati i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa ed i lavoratori in smart working hanno diritto alla tutela prevista in caso di infortuni e malattie professionali.
Il fenomeno ha assunto una rilevanza tale che, come sostiene il Prof.Avv. Raffaele Fabozzi: “Lo smart working si è molto diffuso nelle realtà aziendali sia per effetto della pandemia che in ragione dell’evoluzione della tecnologia e dei modelli organizzativi.”
Quanto al trattamento normativo e retributivo, è prevista la parità di trattamento degli smart workers rispetto ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni all’interno dell’azienda.
L’emergenza sanitaria da Covid-19 e le varie proroghe dello stato d’emergenza, nonché il dibattito relativo all’obbligo vaccinale nei luoghi di lavoro, hanno portato ad una riconsiderazione del fenomeno, tanto che oggi, in Italia, la maggior parte delle grandi aziende continuano ad utilizzare tale modalità di lavoro.
Durante il periodo di maggior picco dei contagi tale strumento è stato utile per salvaguardare la salute pubblica garantendo la continuità del business professionale.
Lo stesso governo, tramite i DPCM adottati nel febbraio e marzo 2020 ne ha spinto l’applicazione.
Tale fenomeno, ad oggi ampiamente dibattuto, ha suscitato non poche perplessità sia dal punto di vista dei lavoratori che dei datori, ho voluto a tal proposito conoscere l’opinione del Prof.Avv. Raffaele Fabozzi a riguardo, domandandogli: “Lei è favorevole o sfavorevole allo smart working, inoltre, quanto crede che il periodo emergenziale abbia impattato sulla diffusione dello strumento?”
“Sono favorevole allo smart working, ma ritengo che vada contestualizzato in base alle differenti realtà ed alle tipologie di rapporti di lavoro, di sicuro la pandemia ha accelerato i processi di sviluppo dello stesso, ma molte aziende lo stavano già sperimentando nel periodo pre- lockdown.”
Già dieci anni fa alcune grandi aziende introdussero soluzioni di Lavoro Agile, in Italia. Tra queste ne sono un esempio Vodafone, Microsoft e Nestlé.
Lo Smart Working non è un fenomeno che nasce in Italia, infatti, sebbene con nomi, accezioni e impianti normativi diversificati, politiche di flessibilità nell’organizzazione del lavoro si sono iniziate a diffondere già tempo fa nel resto dell’Europa.
Lo stesso Parlamento Europeo con la risoluzione del 13/09/2016 afferma di sostenere “il Lavoro Agile”, mettendone in evidenza i benefici sociali e affermando l’importanza dell’equilibrio tra lavoro e vita privata.
A livello normativo, per quanto riguarda l’Italia, già il 10 maggio 2017, il Senato della Repubblica approvò un disegno di legge che disciplinava lo Smart Working, definendolo come: “l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.”
La legge n. 81/2017 rimette all’accordo tra le parti la determinazione delle condizioni specifiche di lavoro nell’ambito dell’attività prestata in smart working.
In base alla legge n.142/2022 del 21 settembre, fino al 31 dicembre 2022, alcune categorie di lavoratori rispettivamente: lavoratori fragili o in possesso di riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità, sia pubblici che privati e genitori dipendenti del settore privato con almeno un figlio minore di 14 anni possono svolgere attività lavorativa in modalità agile.
“Sicuramente lo Smart working ha effetti positivi sull’organizzazione della quotidianità per genitori con figli piccoli. Infatti, la genitorialità è una delle situazioni in cui la legge consente ,fino al 31 dicembre, di lavorare in modalità smart working, solo a genitori con figli di età minore di 14 anni.”(Prof.Avv. Raffaele Fabozzi)
Varie analisi sia a livello sociologico che a livello scientifico hanno rilevato che svolgere il lavoro in modalità agile porta sia ad un risparmio dal punto di vista di costi energetici, che ad una riduzione dell’inquinamento ambientale per la riduzione degli spostamenti, infatti, per i lavoratori, anche una sola giornata a settimana di remote working può far risparmiare in media 40 ore all’anno di spostamenti e per l’ambiente, invece, determina una riduzione di emissioni pari a 135 kg di Co2 all’anno.
“Ritengo che lo smart working possa comportar dei benefici sia in termini ambientali, in quanto derivanti da una riduzione degli spostamenti, che di maggior tempo a disposizione per il lavoratore, non dovendo raggiungere fisicamente il posto di lavoro. Per quanto concerne la prima tematica, è interessante verificare i dati di emissione di Co2 nelle grandi città.” (Prof.Avv. Raffaele Fabozzi)
Lavorare da casa porta con sé diverse implicazioni in materia di controllo a distanza dei lavoratori e di privacy.
Il datore deve essere dotato di strumenti di comunicazione sincrona, per permettere alle persone di confrontarsi, ma anche di un tool per le videoconferenze.
È opportuno che si adottino nuovi stili di leadership basati non più sul controllo, ma sulla fiducia e sulla responsabilizzazione delle persone, di fatto, uno dei motivi principali per cui le aziende non consentono il lavoro a distanza è che il management teme che le persone non lavorino se sono a casa.
Quella della responsabilizzazione del lavoratore risulta di sicuro essere l’opinione più condivisa; il Prof.Avv. Raffaele Fabozzi, infatti, afferma a riguardo: “Incentiverei la responsabilizzazione dello smart worker facendo più attenzione agli obiettivi che gli stessi devono essere chiamati a realizzare, rendendo meno impellente la necessità di controllo da parte del datore.”
È necessario rendere più trasparenti le attività, ricorrendo ad esempio a una combinazione di messaggistica personale e assegnazione di attività su strumenti aperti e condivisi; deve essere di sicuro di prerogativa del lavoratore far sentire la propria presenza e la disponibilità all’interno del team.
Sono queste le parole del Prof.Avv. Raffaele Fabozzi sul tema dell’impatto che ha il lavoro agile sull’interazione del team lavorativo: “Ritengo che il fatto che lo smart working sfavorisca l’interazione fra lavoratori appartenenti ad un team vada contestualizzato in base all’attività considerata, perché ci sono delle situazioni in cui lavorare in questo modo potrebbe non produrre effetti positivi in termini organizzativi e produttivi ; ma direi che in linea di massima sono pochi gli ambiti in cui potrebbe apportare effetti negativi. Bisogna inoltre stare attenti alla possibile alienazione del lavoratore.”
In definitiva, personalmente, credo che un modo per far funzionare in maniera positiva lo strumento potrebbe essere necessario impartire ai lavoratori degli obiettivi che gli stessi sono tenuti a raggiungere entro il termine della giornata lavorativa, in modo che essi possano organizzarsi come ritengono opportuno. Da questa riflessione personale è sorta la seguente domanda:
“Crede sia più opportuno organizzare il lavoro sulla base di obiettivi piuttosto che sul numero di ore e sul luogo in cui tali ore vengono svolte?”, alla quale il Prof.Avv. Raffaele Fabozzi ha risposto: “Riguardo il fatto se il lavoro debba essere organizzato sulla base di obiettivi piuttosto che sul numero di ore lavorate ed il luogo nel quale queste vengano svolte, ritengo che in linea di massima si deve tenere conto dell’attività che viene svolta.”
Tra le questioni poste al Prof.Avv. Raffaele Fabozzi, ho voluto inserire anche una riguardante l’organizzazione adottata dallo stesso e dai suoi collaboratori nell’ambito della sua attività professionale ed in particolare ho chiesto se utilizzasse lo smart working come modalità di lavoro: “Nell’ambito della mia professione, io ed i miei collaboratori, non svolgiamo l’attività lavorativa in smart working perché essendo liberi professionisti non c’è un tema di subordinazione, ma per il personale dipendente ne facciamo utilizzo, compatibilmente con l’attività .”
Trattare di tale fenomeno è di rilevante importanza, soprattutto in un periodo in cui lo stesso sta di gran lunga ampliandosi, innovando, tra critiche e approvazioni, le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Ad ogni sviluppo sociale corrispondono nuovi interventi normativi, dobbiamo pertanto aspettarci in un prossimo futuro diverse regolamentazioni legislative in materia.
In un’ottica progressista annovererei il celere svilupparsi dello stesso alle poche conseguenze positive derivanti dal periodo emergenziale.